La fine di un mondo
Gli Stati Uniti raccontati da Charles Burns in Black Hole sono un luogo malsano, perturbante e decadente. Un luogo dal quale è difficile uscire; chi fugge, chi scappa, non si muove in realtà di un millimetro. Questo luogo è popolato da una generazione di adolescenti descritta attraverso uno sguardo cinico che riesce bene a comprendere quali sono i veri problemi di un’esistenza sempre sull’orlo del precipizio.
Siamo negli anni Settanta del secolo passato, le vite travagliate di Keith, Chris, Eliza e Rob e quelle disastrose del gruppo degli altri giovani loro coetanei che vivono praticamente alla giornata, ci descrivono perfettamente il senso di disagio percepito da ognuno di loro. È un malessere che in primis si manifesta sui corpi di questi sventurati, che vengono mutati, e in molti casi deturpati, da un virus trasmesso sessualmente che pian piano li contagia tutti quanti. Un virus che diviene rappresentazione metaforica dell’impossibilità di far coincidere la mente con il corpo, dell’incapacità di scindere la dimensione apparente da quella concreta, sensibile ed emotiva di ogni singolo individuo. Un gioco raffinato che Burns riesce perfettamente a esprimere non solo tramite la narrazione e la descrizione dei vari personaggi, ma anche e soprattutto attraverso il suo peculiare tratto stilistico, sempre molto netto, con potenti chiaroscuri che non danno possibilità d’esistenza alle sfumature. Il mondo che ci viene mostrato è infatti violentemente suddiviso in intensi bianchi e neri che non permettono mai una lettura intermedia del colore, come se la realtà fosse un amalgama di bene e male praticamente inscindibili, ma in ogni caso distintamente riconoscibili. Un’altra grande qualità dell’opera sta nell’infinita destrezza dell’autore nel saper gestire il racconto su vari piani temporali e in particolare attraverso quelle che sono delle spettacolari allucinazioni a occhi aperti; in questo specifico caso è spesso l’uso delle soggettive a rendere ognuna di queste situazioni estremamente suggestiva. L’ansia e l’angoscia che fuoriescono da Black Hole sono allora la fine di un mondo, sono il limite di un’umanità che non si rende più conto dei propri traumi e che non comprende il motivo per cui riesce in qualche maniera a sopravvivere nonostante l’apatia perenne che continua a opprimerla; Black Hole è dunque proprio un buco nero che tutto risucchia e inghiotte, che tutto trattiene e che tutto deforma. Uno spazio inquietante e spaventoso dentro al quale è forse necessario, a un certo punto della propria esistenza, addentrarsi. Perché alle volte, per capire il potere di un raggio di luce è fondamentale conoscere il vuoto e l’oscurità che lo circondano.
Black Hole [id., USA 1995/2005] TESTI E DISEGNI Charles Burns.
EDITORE Coconino Press, 368 pagine, 19 Euro.