Diario di un lone survivor australiano
1942. Scampato fortuitamente a un incidente aereo, Jim si risveglia sulla fronda di un albero nella fitta foresta di Singapore. Imbattutosi casualmente in un soldato cinese della resistenza, intraprende una complice fuga dai giapponesi.
Se c’è qualcosa da obiettare a Canopy è forse proprio il fatto di risentire troppo della familiarità del suo regista, qui al debutto coi lungometraggi, con i corti che finora più l’hanno reso celebre nei festival internazionali, elemento che rischia di far sembrare la durata del film eccessivamente stiracchiata. Ma sarebbe davvero un peccato intestardircisi troppo perché rischieremmo di perdere di vista il modo di intendere e di fare Cinema di Wilson, lucido e maturo in fatto di fotografia e sceneggiatura a tal punto da illudere di trovarsi al cospetto di un cineasta biograficamente e professionalmente consumato (e non di un quasi quarantenne quale egli in realtà è). L’idea che sta alla base del scarno plot si rifà fedelmente ai racconti dei veterani della Guerra del Pacifico che era solito ascoltare da piccolo negli afosi pomeriggi trascorsi nel polveroso bush australiano. A colpirlo maggiormente, la gravosa solitudine imposta ai militari dal trovarsi in un ambiente ostile sapendo di dover arrancare faticosamente centimetro dopo centimetro per salvare la pelle. Il realismo ricercato e mantenuto a tutti i costi spiegano allora perfettamente la manciata di battute scambiate nel film e l’assenza delle traduzioni di quanto proferito dai soldati asiatici: infatti non è la voce bensì l’ambiente coi suoi suoni ad amplificare i pensieri e le emozioni del protagonista. Nonostante l’ambientazione palesemente bellica e i parallelismi tematici già affrontati nella recente filmografia del genere come il traumatico rientro nella società dei reduci (American Sniper di Eastwood) o la reciproca diffidenza tra combattenti (Windtalkers di Woo), categorizzare Canopy è tutt’altro che scontato: persino dal titolo, pieno di rimandi allegorici, si evince che non è solo una pellicola “di” guerra ma “sulla” guerra. Sia il nemico che gli scontri diretti sono infatti relegati ai margini della vicenda: gli obiettivi della cinepresa sono Jim e soprattutto la giunga tropicale che con lui interagisce leopardianamente a tratti celandolo dalle milizie nemiche come una madre e poi attentando alla sua incolumità quasi fosse una matrigna cattiva. Parecchi i rimandi simbolici, come suggerito dal titolo e dalle inquadrature che insistono sull’odissea dell’aviatore australiano che, abituato a combattere sotto una coltre di nubi, deve ora affrontare un insidioso e inconsueto campo di battaglia delimitato da una fitta volta di vegetazione. Ad accompagnarlo, ci sono l’inquietante/onnipresente ronzio degli aereoplani giapponesi e le liane, che scendono come dei giganti tentacoli di medusa dalle mangrovie.
Canopy [id., Australia/Singapore 2013] REGIA Aaron Wilson.
CAST Khan Chittenden, Mo Tzu-yi, Robert Menzies, Edwina Wren.
SCENEGGIATURA Aaron Wilson. FOTOGRAFIA Stefan Duscio. MUSICHE Nic Buchanan, Rodney Lowe.
Guerra/Drammatico, durata 84 minuti.