SPECIALE GRANDI CLASSICI
Il potere espressivo del fuori campo
Il passaggio dal muto al sonoro comportò notevoli problemi tecnici che influirono pesantemente sullo stile dei primi film parlati: alla dinamicità e fluidità raggiunte negli anni Venti si sostituì improvvisamente un’eccessiva staticità delle inquadrature e del montaggio. Tuttavia, alcuni registi considerati oggi dei maestri sono riusciti magistralmente ad aggirare gli ostacoli del sonoro. Fritz Lang, già esponente dell’espressionismo tedesco, è uno di questi.
M – Il mostro di Düsseldorf è il primo film sonoro di Lang ed è tutt’oggi considerato una pietra miliare della storia del cinema. Ispirandosi a fatti realmente accaduti, il regista mise in scena la vicenda di Hans Beckert – il più celebre tra i ruoli di Peter Lorre –, un serial killer che adesca bambine per poi ucciderle. Dato che la polizia, con inutili retate, mette a repentaglio le attività della criminalità organizzata, quest’ultima decide di scovare l’assassino per poi consegnarlo a un tribunale popolare. Il film, continuamente in bilico tra dramma sociale e horror, rappresenta un punto di riferimento fondamentale per tutto quel filone dedicato alla figura del serial killer, introducendo interessanti e ardue tematiche legate alla psicopatologia di tale figura. Evidentissimi sono gli influssi dell’espressionismo – di cui questo film può essere considerato un ultimo canto del cigno prima dell’avvento del Nazismo – in merito all’utilizzo della luce e alla visione pessimista sulla società. Ma ciò che sorprende ancora oggi è l’abilità con cui Lang sfruttò il fuori campo per rendere maggiormente espressiva l’intera vicenda. Molte delle azioni sono collocate al di fuori dei margini dell’inquadratura con solo alcuni elementi che entrano in campo. In questo modo non è solo lo spazio visibile ad assumere importanza ai fini della narrazione, ma tutto ciò che avvolge il punto di vista dal quale l’azione è ripresa e che, per ovvi motivi, non può entrare nel quadro. L’evocazione di ciò che sta accadendo in uno spazio non del tutto visibile non fa che aumentare la tensione dello spettatore e la sua smania di conoscere e sapere: non c’è nulla di più frustrante dell’impossibilità ad avere sotto controllo la situazione. Ed è proprio il sonoro a potenziare la funzione del fuori campo: se l’occhio può vedere soltanto ciò che è visibile entro i bordi dell’inquadratura, l’udito può sentire tutto ciò che si trova nei pressi del dispositivo cinematografico, anche se la fonte sonora non è visibile. Grazie al sonoro la totalità dello spazio diventa percepibile. Ecco allora che i delitti dell’assassino non ci vengono mai direttamente mostrati – si pensi all’inquadratura della palla che corre sul prato e a quella successiva del palloncino impigliato nei cavi telefonici, tra le più efficaci immagini di morte mai realizzate – o alle entrate dei personaggi anticipate da inquadrature vuote accompagnate dai rumori – la filastrocca iniziale, il fischiettio dell’assassino visto attraverso la sua ombra proiettata o l’enorme frastuono di passi e voci che antecede la cattura di Hans Beckert, senza che la macchina da presa si sposti di un millimetro dal suo volto impaurito. Fritz Lang, a differenza di chi vide nel sonoro una “degenerazione” del cinema, ne capì immediatamente le potenzialità aprendo la strada a tutta una serie di sperimentazioni successive.
M – Il mostro di Düsseldorf [M – Eine Stadt sucht einen Mörder, Germania 1931] REGIA Fritz Lang.
CAST Peter Lorre, Gustaf Gründgens, Otto Wernicke, Ellen Widman, Inge Landgut.
SCENEGGIATURA Thea von Harbou, Fritz Lang. FOTOGRAFIA Fritz Arno Wagner.
Drammatico/Horror, durata 117 minuti.