Complotto!
Al netto di pregi e difetti, di approcci documentaristici o smaccatamente finzionali, si sente sempre bisogno del cosiddetto cinema di inchiesta. Un sottogenere in voga dagli anni ’70 (Tutti gli uomini del presidente docet) che oggi si tiene in piedi per motivazioni differenti rispetto ad allora.
Quella che era infatti una mancanza generale di informazioni, sopperita dal giornalismo e dai mezzi di comunicazione (il cinema, ma non solo) capaci di coinvolgere trasversalmente le masse, ora è all’opposto bulimia incontrollata di sollecitazioni, priva di filtro. Negli anni 2000 (espressione orrenda al pari di “Nell’era dei social network”, ma tant’è) chiunque può pubblicare qualunque contenuto, avere visibilità e raggiungere immeritati riscontri. È l’utente a dover selezionare la bontà o meno di ciò che viene detto/scritto, ma sulla base di cosa? Del blasone di una testata (anche se…), della fiducia in una firma di rilievo (anche se…), dell’espressione abusatissima “tratto da una storia vera”. La regola del gioco – titolo italiano poverissimo, che oltretutto crea un inutile rimando al film di Renoir del 1939 – trae la propria credibilità proprio da quest’ultima categorizzazione, getta cioè le proprie basi su una sconcertante vicenda accaduta realmente. Ma sembra quasi non volerci credere. Si affronta il caso di Gary Webb, aitante reporter americano di un piccolo quotidiano che nel 1996 incappa per caso in un leak enorme: pare infatti che la CIA, negli anni ’80, abbia contribuito allo spaccio di crack per raccogliere il denaro necessario a rifornire di armi l’esercito controrivoluzionario (i Contras) che combatteva il governo comunista in Nicaragua. Il film di Michael Cuesta alterna diversi criteri, che male si innestano l’uno con l’altro: c’è l’indagine iniziale, tesa e sorprendentemente coinvolgente; c’è l’intromissione nella sfera privata, sbilenca e di bassissima qualità; c’è infine il dramma umano e civile che Webb vive quando tutto gli si ritorce contro. Come fossero tre episodi di una medesima serie tv – sia Cuesta che lo sceneggiatore Peter Landesman vengono dal mondo della serialità – si sviluppano narrazioni ma non si affonda mai il colpo. Il respiro di Kill the Messenger è corto e le conclusioni sono coraggiose sì, ma con riserva. Se si ragiona sulla potenza dell’assunto di base (e anche sulle notevoli interpretazioni di Jeremy Renner, Mary Elizabeth Winstead, Ray Liotta e Andy Garcia) il risultato finale non può che lasciare vagamente delusi. Eppure una sequenza che vale il fatidico “prezzo del biglietto” c’é: la premiazione di Webb come giornalista dell’anno, divisa fra il sogno della meritata gratificazione e la realtà dell’ingiusta mortificazione. Ci si potrebbe in fondo fermare anche qui: all’idea di sacrificio personale, in difesa di una sacrosanta – ma scomodissima – verità.
La regola del gioco [Kill the Messenger, USA 2014] REGIA Michael Cuesta.
CAST Jeremy Renner, Rosemarie DeWitt, Ray Liotta, Mary Elizabeth Winstead, Andy Garcia.
SCENEGGIATURA Peter Landesman. FOTOGRAFIA Sean Bobbitt. MUSICHE Nathan Johnson.
Thriller/Biografico, durata 112 minuti.