Caerimoniae corporis
Come ogni libro maudit che si rispetti anche il Caerimoniae corporis che Evan trova in casa della misteriosa Louise (senza però leggerlo), è un oscuro feticcio che evoca demoni infestanti. Questa volta di ascendenza tardo antica, incarnati nelle fattezze sublimi di una donna che ogni vent’anni muore per poi rinascere.
Meglio non soffermarsi troppo sul segreto racchiuso nel ventre (spesso) fecondo di Louise o nei suoi occhi eterocromatici e profondi. Lei è dea e lamia immortale, Lilith furibonda e inquieta, viaggiatrice di un tempo senza tempo che cavalca sul filo di metamorfosi autoindotte. Quando incontra nell’assolato mezzogiorno italiano il sofferente Evan, giovane in fuga dopo aver accudito fino alla fine la madre moribonda, cerca di tenere a bada i sussulti di un corpo irrequieto, desideroso di caldi amplessi e incapace di trattenere qualche tentacolo lovecraftiano che ogni tanto sbuca fuori dalla manica. Debitori forse a Cronenberg, la cui asciuttezza di forma viene qui dilatata in verbosità (volutamente nonsense) che ogni buon genetista metterebbe all’indice, i registi di Resolution continuano a sperimentare nuove forme di racconto, spesso al limite del verosimile, per piegare la realtà al giogo lisergico delle loro immagini (meta-immagini, specchi deformanti in cui si riflettono incubi e deliri) codificate in un “bestiario” post-moderno. A loro non interessa mostrare il tormento sanguinario vissuto dalla coppia Fassbender-Reilly in Eden Lake o le “conseguenze dell’amore” tra un vampiro e un umano (Lasciami entrare), ma ambiscono a un’indagine simbolica e visionaria che affonda le proprie radici in una ricerca espressiva più “noliana” che vicina agli horror contemporanei. La storia (d’amore) è un pre-testo, nel senso che viene prima del testo vero e proprio, il quale ci parla di solitudini umane sollecitate, come accade in ogni film di Nolan, dal retroterra ingegneristico che presiede alla cornice entro cui si inserisce la vicenda. Qui è la genetica a fungere da architettura formale. A fuoriuscire dai bordi è solo la macchina da presa, che si insinua nelle strette vie di Polignano e Conversano, tra le vestigia archeologiche di Egnazia e Oria. L’atmosfera è quella magica di misteri eleusini che vengono poco alla volta a galla, mascherati dalle conversazioni dei due innamorati che si dicono il tutto e il niente, che si preparano, con tensione crescente, a scrostar via dalla patina illusoria del tempo un sentimento umano che unisce pietas e fame di empatia. Tra fiumi di parole e sangue “povero” (low budget), magie rurali e folclore italico, “solo gli amanti sopravvivono”, mentre ogni intromissione del mondo circostante è respinta nell’ombra fallace della controra.
Spring [id., USA 2014] REGIA Justin Benson, Aaron Moorhead.
CAST Lou Taylor Pucci, Nadia Hilker, Vanessa Bednar, Shane Brady, Francesco Carnelutti.
SCENEGGIATURA Justin Benson. FOTOGRAFIA Aaron Moorhead. MUSICHE Jimmy Lavalle.
Horror, durata 109 minuti.