SPECIALE DINOSAURI AL CINEMA
Scatole cinesi nel misterioso Ovest
In nessun Paese come negli Stati Uniti i quattro punti cardinali hanno assunto un significato talmente ampio e stratificato. Il nord e il sud, la costa ovest e la costa est, una mappatura di stili, modi di vivere, connotazioni, caratteri. Il cinema ha saputo, come suo solito, usare tutto ciò.
Chiunque oggi sa cosa sia un western e cosa rappresenti. Molti di meno conoscono il Weird West, ramo del western che ne sfrutta l’ambientazione nota, rassicurante e allo stesso tempo metafisica, per inserire elementi provenienti da altri generi come l’horror ed il fantasy, in una commistione che ancora oggi appare assurda eppure del tutto attraente. La vendetta di Gwangi è uno dei rappresentanti più puri del genere. L’incontro tra western e fantascienza avviene in una valle ritenuta inviolabile da una anziana veggente indiana. Un gruppo di cowboy guidati da un archeologo e da uno scaltro ragazzino locale entrano ugualmente nella valle alla ricerca di creature bizzarre da cui trarre profitto coi loro spettacoli circensi. Catturano un allosauro che durante la sua prima esibizione riesce a liberarsi, terrorizzando la cittadina. Tuck, il protagonista, nella finale e consuetudinaria lotta tra animale e umano, tra natura e ragione, costringe il pauroso animale a restar chiuso in una chiesa in fiamme. Il film di Jim O’Connolly, costruito per esaltare gli effetti in stop motion di Ray Harryhausen, condivide quasi la stessa trama con La valle dei disperati, film del ‘56 che fu prodotto da Willis O’Brien, creatore degli effetti speciali del primo King Kong (1933) e maestro di Harryhausen. Gwangi ha ormai più un valore storico che artistico, manca di picchi, di caratterizzazioni, di genuinità. Rivela pienamente la sua essenza di prodotto commerciale pianificato a tavolino. Ad un occhio più attento però non manca di rivelare qualche aspetto analizzabile in chiave socio-antropologica, e questo grazie proprio al suo essere “prodotto”. L’amore superficiale e utilitaristico tra i protagonisti; il peso dei dollari che schiaccia qualsiasi valore storico-scientifico a una scoperta di un dinosauro ancora in vita; il personaggio del piccolo Lupe che convoglia da buon indigeno-incorrotto tutta la tenerezza residua in un mondo così calcolatore; il valore simbolico della chiesa purificatrice del peccato di tracotanza; la sfida e la derisione nei confronti del tradizionale, del mistico, del religioso; il fatto che la colpa nasca inseguendo un Eohippus denominato El Diablo: un piccolo diavolo, un pifferaio capace di sfruttare le cedevolezze umane e guidare gli uomini verso spazi iniziatici e ancestrali (il mostro “riportato in vita” per troppa avidità e curiosità richiede un sacrificio; nella valle i cowboy abitano una caverna e si difendono col fuoco come primitivi). Un film banale quindi, come lo sono quattro punti cardinali, ma che, come questi, possono tramutarsi in una scatola cinese senza fine.
La vendetta di Gwangi [The Valley of Gwangi, USA 1969] REGIA Jim O’Connolly.
CAST James Franciscus, Gila Golan, Richard Carlson, Laurence Naismith, Gustavo Rojo.
SCENEGGIATURA William Bast, Julian More, Willis H. O’Brien. FOTOGRAFIA Erwin Hillier. MUSICHE Jerome Moross.
Western/Fantasy, durata 96 minuti.