SPECIALE SECONDA GUERRA MONDIALE
Brandelli
I conflitti bellici sono la risposta tangibile a chi considera l’uomo un animale selvaggio: in essi la malvagità e l’istinto di sopravvivenza portano a comportarsi come bestie. Fury teorizza tutto ciò in un war movie che cerca di elevarsi dallo stereotipo.
Moralismo e patriottismo di fondo, ai quali il cinema americano dimostra ancora oggi di non saper rinunciare, rovinano in parte l’impegno certosino e magniloquente di David Ayer. Fortemente voluto dal suo protagonista e produttore Brad Pitt, Fury è però in debito con il passato. Come già scritto in queste pagine da Massimo Padoin, il regista dimostra di aver visto e di conoscere bene i classici di guerra, ma, se ancora possibile, cerca di superarli creando in qualche modo un lavoro personale e originale. L’originalità sta nel fatto di raccontare la vicenda dal punto di vista di un giovane combattente catapultato, suo malgrado, nelle fasi finali della Seconda Guerra Mondiale, dove ormai regna il caos, senza aver alcuna esperienza. Farà parte della truppa del carro armato Fury, una ragione di vita prima di un’arma. Non una trovata “eccentrica” ma adatta e fortunata, e che ci risparmia l’eventuale soporifera voice over. Fury è una pellicola sulla guerra combattuta e subìta in primis da dei corpi, quelli dei protagonisti e delle vittime, che si ritrovano a mostrarsi forti e sicuri all’esterno ma che invece soffrono. Eroi che si immolano per la patria e per dei principi di base a cui dimostrano di credere follemente anche quando le certezze crollano. Ma man mano che i minuti passano la fermezza viene sopperita dalla stanchezza e dalla mancanza di lucidità, e i corpi mutano: esauriente la trasformazione del giovane Norman, che parte con il volto e lo sguardo puliti e innocenti e nel finale porta i segni di un incubo vissuto e madido di sangue e terra, come le cicatrici del comandante “Wardaddy”. Ayer dirige i combattimenti con maestria e alcune sequenze superano quasi, per spettacolarizzazione e immedesimazione, i migliori videogiochi di genere. Il sangue scorre copioso e la carne stuprata dimostra bene “cosa può fare un uomo ad un altro uomo”. Questa fisicità dirompente permette al film di non scadere solo nel mero patriottismo del popolo americano, che ritroviamo soprattutto nel finale, e esalta l’interpretazione di Pitt (a parere di chi scrive piuttosto modesta). La tensione e la commozione di alcuni momenti, vedi la “visita” alle due donne tedesche durante l’occupazione di una cittadina, fanno dimenticare alcune ingenuità e gli attimi bassi di déjà vu. Un racconto speciale quindi, non “il migliore film di guerra degli ultimi trent’anni”, per ribadire l’idiozia della guerra: un’ovvietà che però richiede sempre di essere celebrata.
Fury [id., USA 2014] REGIA David Ayer.
CAST Brad Pitt, Shia LaBeouf, Logan Lerman, Michael Pena, Jon Bernthal, Jason Isaacs.
SCENEGGIATURA David Ayer. FOTOGRAFIA Roman Vasyanov. MUSICHE Steven Price.
Guerra, durata 134 minuti.