17° East Film Festival, 23 aprile – 2 maggio 2015, Udine
Quanto è bella la gioventù (ma all’improvviso sei vecchissimo)
Vince la 17a edizione del Far East Film Festival… la Corea del Sud. Non un singolo film, ma proprio una nazione intera: ad occupare i primi tre posti del podio 2015 tre opere provenienti dalla repubblica semi-presidenziale orientale. Un trionfo non annunciato, in parte controbilanciato dal Black Dragon Award finito nelle mani della cambogiana Sotho Kulikar per il suo The Last Reel.
Alle soglie della maggiore età, forse per “il più grande festival del cinema popolare asiatico” è giunto il momento di sfatare un mito. Non è quella giapponese la cinematografia più vicina ai gusti occidentali. Il palmarès della kermesse friulana parla chiaro: in 17 anni per ben 8 volte è stata la South Korea a sbancare, a fronte di sole quattro vittorie nipponiche. A fare breccia nei cuori dei fareasters pare essere stato quest’anno il fil rouge della memoria, nelle sue varie declinazioni. Da un lato The Royal Tailor (2° posto), dramma in costume ambientato all’epoca della dinastia Joseon e dall’altro My Brilliant Life (3° posto), toccante inno alla vita incentrato su un 17enne affetto da progeria. Nel mezzo spicca Ode to My Father, sorta di incrocio fra il Forrest Gump di Zemeckis e l’Always di Takashi Yamazaki. Ovvero: una carrellata dei principali eventi storici che hanno caratterizzato la Corea negli ultimi sessant’anni, visti con gli occhi di un cittadino qualunque. Tra le maglie di una narrazione più articolata di quanto possa sembrare, il regista Youn Je-kyoon pone l’accento sì sugli immensi sacrifici del protagonista Deok-soo, ma più di ogni altra cosa insinua la mancata riconoscenza da parte della sua famiglia nei suoi confronti: figli e nipoti non gli sono affezionati, perché probabilmente non sono “onniscienti” come viene concesso di essere a noi spettatori privilegiati. La vicenda di Deok-soo inizia da bambino, durante la tragica emigrazione da Hungnam, e procede attraverso le tappe del lavoro in miniera nella Germania degli anni ’60 e della guerra del Vietnam. Tutti i gesti di Deok-soo – prima ragazzo, poi uomo, ora anziano – sono compiuti col desiderio di proteggere i propri cari, nella speranza di ricongiungersi un giorno con il padre perduto nel 1951. Pur non essendo apertamente tratto da una storia vera, Ode to My Father ci parla di un’intera generazione, puntando al contempo il dito verso chi non avendo vissuto periodi storici difficili si adagia sulle agevolazioni del proprio presente come un atto dovuto. Una scommessa vinta in patria (Ode è il secondo miglior incasso coreano di sempre, dopo Roaring Currents e prima dell’americano Avatar), nonostante le aspre critiche ricevute. Perché il pubblico – anche quello del Far East – ha capito che l’opera di Youn non è una patinata fiction conservatrice, ma un sentito e genuino tributo alla Storia di un Paese che ha sofferto per la propria emancipazione.
Ode to My Father [Gukje-sijang, Corea del Sud 2014] REGIA Youn Je-kyoon.
CAST Hwang Jung-min, kim Yun-jin, Oh Dal-soo, La Mi-ran, Lee Hyun.
SCENEGGIATURA Youn Je-kyoon, Park Su-jin. FOTOGRAFIA Choi Young-hwan. MUSICHE Lee Byung-woo.
Drammatico, durata 126 minuti.