Sky Classics, venerdì 18 novembre, ore 23
L’uomo che non sapeva troppo
Esistono pellicole che, consapevolmente o inconsapevolmente, diventano espressione della società o addirittura di un’intera cinematografia; è il caso de Il Maratoneta, film di John Schlesinger capace di ritagliarsi un ruolo importante all’interno della produzione statunitense di quegli anni.
Seppure la sua realizzazione non è dovuta ad uno di quegli autori che oggi vengono idolatrati, la pellicola è diventata specchio del proprio tempo, portando con sé il conflitto insito al nuovo cinema statunitense; pensiamo solamente alla scelta di contrapporre due generazioni di attori rappresentate da Laurence Olivier, attore simbolo del proprio mestiere per la presenza recitativa e classicità della stessa, e da Dustin Hoffman, star nata sotto il ciclo della New Hollywood e soprattutto espressione del nuovo modello attoriale derivato dall’Actor’s Studio.
A confrontarsi non sono solo i modelli recitativi, ma soprattutto la realizzazione stessa del film, il modello di riferimento preso da Schlesinger è chiaramente Hitchcock. Il Maratoneta, sembra essere una variante di alcune della pellicole dirette da Sir Alfred (il coinvolgimento di un innocente all’interno di un meccanismo più grande e pericoloso di lui è l’elemento chiave, ad esempio, di Intrigo Internazionale e de L’uomo che sapeva troppo).
Il lettore mi scuserà se non approfondisco maggiormente la descrizione della trama del film, ma uno degli aspetti più interessanti de Il Maratoneta è il fatto di seguire le vicende di vari personaggi senza capire la vera connessione che intercorre tra loro, infatti solo a metà della pellicola essi si ricongiungeranno confluendo all’interno di un intrigo ben architettato.Raccontando il plot si rischierebbe di rovinare l’effetto di scoprimento. Vi basti sapere del coinvolgimento di uno studente all’interno di una vicenda dominata da gioielli e criminali nazisti.
Ritornando al rapporto che la pellicola intrattiene con il proprio periodo storico, ciò che questa considera vero momento oscuro della storia americana, tanto da diventare uno degli aspetti di maggior rottura con il passato (cinematograficamente parlando), è il maccartismo, che, insieme al codice Hays, è stato uno degli aspetti più temuti e maggiormente inibitori per gli artisti americani nel periodo centrale del novecento. Con questo attacco sembra quasi avvenire la rottura definitiva dei tabù che fino a pochi anni prima avevano limitato la creatività di sceneggiatori e registi, per dare così il via ad un’era dove i produttori coincidevano con gli artisti, e nel quale l’idea che dominava il mercato non era quella di prodotto ma di opera.
Magari questo modello fosse durato…