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Catching Hell

lunedì 7 Novembre, 2011 | di Edoardo Peretti
Catching Hell
Festival
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Festival Internazionale del Film di Roma, 27 ottobre, 4 novembre 2011

Alla ricerca del capro espiatorio perduto
Andare a vedere una partita di baseball in cui la tua squadra si gioca il titolo che manca da 95 anni, vedere la pallina che, colpita con forza, sembra dirigersi inesorabilmente verso le tribune, proprio nella prima fila dove sei seduto, provare il desiderio di afferrarla e portarsi così a casa il ricordo indelebile del match.

Allungare la mano e preparare la stretta, senza accorgerti che, in quel momento, uno dei tuoi idoli sta preparando la presa che sarebbe stata decisiva per la vittoria; infine, deviare la traiettoria quel poco che basta per spiazzare il giocatore e regalare un punto agli avversari, e assistere in quel momento all’inizio del tracollo verticale della tua squadra, e poi alle perdita di partita e campionato. Questo è quello che è successo a Steve Bartman, uomo qualunque con la passione del baseball e l’amore per i Chicago Cubs. Bartman è stato immediatamente da tifosi e media additato come unico responsabile della sconfitta, come se fosse uno stregone che ha lanciato un sortilegio dopo il quale la squadra, fino a quel momento imbattibile, si è improvvisamente dimenticata come si giochi a baseball. Il poveraccio è quindi diventato agli occhi dell’intera città un capro espiatorio, sepolto da una pioggia di insulti e da minacce all’incolumità fisica.

Il documentario di Alex Gibney, anche egli appassionato di baseball, racconta questa storia, cercando di riflettere sui meccanismi che sono alla base della creazione di una vittima sacrificale a cui addossare le colpe, figura che pare necessaria per rielaborare una sconfitta o un dramma. L’avere additato come causa unica della disfatta l’ingenuo gesto di Bartman è frutto dell’irrazionalità tipica del tifoso, il cui schema però funziona anche per vicende ed eventi più importanti e seri, come sembra suggerirci il regista tra le righe. Catching hell va oltre il documentario sportivo (in parte è anche questo) e si mostra come buon esempio di studio antropologico, affrontando un elemento oscuro e ricorrente della natura umana. Vedere l’escalation delle reazioni, che aumenta parallelamente alla sparizione della squadra dal campo, e che passano dai divertiti sfottò iniziali a serie manifestazioni di ostilità, rabbrividisce, anche per il fatto che pure lo spettatore, vedendo l’accaduto, ha riso e rivolto, per un attimo, a Bartman gli stessi improperi regalati dagli altri tifosi.

Gibney dimostra, mantenendo una costante ironia di fondo, che in realtà la responsabilità di Bartman è limitata: lo fa analizzando il seguito della partita e l’evidente kaputt psicologico dei giocatori, dimostrando che nel baseball è norma che i tifosi cerchino di afferrare la palla diretta in tribuna, e che non era certamente la prima volta che un supporter ostacolasse un giocatore, oltre al fatto che intorno a lui almeno altre quattro persone hanno cercato di fare la stessa cosa. Attraverso interviste a giornalisti e commentatori, risulta anche il ruolo di una parte dei media nell’avere posto l’attenzione sul gesto di Bartman, additandolo nei commenti spiritosi e radicando la sua immagine in una serie di replay. Il documentario è stato presentato nella sezione “L’Altro Cinema” del festival di Roma.

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