SPECIALE MESSICO & CINEMA
Alla fine… libero
… angelo se io fossi un angelo con lo sguardo biblico li fisserei/vi do due ore, due ore al massimo/poi sulla testa vi piscerei sui vostri uffici, sui vostri dollari/sulle vostre belle fabbriche di missili, di missili…
Un po’ di anni fa Lucio Dalla cantava così, e sembra quasi che a questa canzone, Se io fossi un angelo, si sia ispirato Alejandro González Iñárritu per il suo Birdman. Certo, non si parla di angeli, ma di un uomo “alato” che guarda il mondo dall’alto, non per presunzione o prepotenza, ma per riuscire finalmente a conoscersi. Il momento in cui spiccherà il volo lo libererà dai suoi fantasmi, facendolo elevare a più di un semplice burattino in mano alla folla. Non semplicemente un racconto sulla rinascita artistica di qualcuno, ma una speranza nel nostro oggi, Birdman è un film frenetico, “rumoroso” fin dalla colonna sonora jazz, pieno di pensieri, parole e personaggi, per alla fine ridursi ad un film sull’esistenza. È come se fossimo nel cervello di Riggan Thomson, il personaggio interpretato magnificamente da Michael Keaton, che lotta per non invecchiare e quindi si scontra con i tanti pensieri e le moltitudini di stimoli che arrivano dall’esterno. Un attore/uomo/padre alla ricerca del suo posto nel mondo. Iñárritu gioca con la menzogna, di chi si autoconvince di essere altro, di chi vorrebbe ribellarsi ma in fondo sa di stare bene così, di chi millanta novità sapendo di mentire, su tutto il finto piano sequenza continuo, che si sgama quasi subito ma che illude. Un flusso instancabile di vita reale, alternata alla materializzazione dell’inconscio. Birdman siamo noi che lottiamo ogni giorno per non cadere, e per farlo ci aiutiamo con l’atto privilegiato di parlare da soli: soli ci si ascolta, a volte non ci si capisce ma ci si aiuta ad affrontare la vita. Sembra un discorso paranoico o esagerato, ma è quello che emerge dai soliloqui di Keaton, e che rendono Birdman un limpido trattato empatico sull’oggi. L’essere giudicati per poi giudicare, il critico che viene abbattuto dall’artista e viceversa. Un attacco alle posizioni radicali: utilità dei social network, messa in scena della farsa, importanza dell’arte sul bieco intrattenimento, la popolarità acquisita e quella meritata. Un lavoro libero e finalmente “nuovo”, che farà storcere il naso a chi cerca la perfezione anche dettata dalle emozioni, ma che ti catapulta in un mondo saggiamente esistente. Insomma un Iñárritu autentico, senza i patetismi eccessivi dei suoi ultimi lavori, e che si diverte. Un bagliore di talento autografo con una fotografia abbagliante, e degli interpreti da urlo che reggerebbero da soli la messa in scena. Un piacere bulimico per lo spettatore e per l’autore, che sembra quasi non voler mai arrivare ai titoli di coda. Sbrigativo dirlo, ma un gran film!
Birdman o L’imprevedibile virtù dell’ignoranza [id., USA 2014] REGIA Alejandro González Iñárritu.
CAST Michael Keaton, Zach Galifianakis, Edward Norton, Emma Stone, Naomi Watts.
SCENEGGIATURA Alejandro González Iñárritu, Nicolàs Giacobone, Alexander Dinelaris Jr., Armando Bo. FOTOGRAFIA Emmanuel Lubezki. MUSICHE Antonio Sanchez III.
Commedia/Noir, durata 119 minuti.