FilmForum 2015 – XXII International Film Studies Conference, 18-24 marzo 2015, Udine/Gorizia
Cogito, (imm)ergo sum
Alla MAGIS Springschool, parte del FilmForum Festival, per la sezione dedicata al postcinema è stata organizzata una serie di interessanti lezioni, workshop, installazioni e presentazioni.
Il tema della conferenza riguardava l’embodiment, l’immersività e, dunque, le esperienze mediali. Nei workshop organizzati al pomeriggio si é infatti parlato di corpi umani immersi nella rete della narrazione (in hyperlink film o film corali) o di corpi rappresentati nel medium (dai cyborg di Nirvana di Salvatores ai soldati dei documentari di guerra o ancora alla percezione della figura di Lady Gaga da parte dei suoi fan), e ancora si é discusso di rapporto tra il corpo che guarda e quello di chi viene guardato nel documentario partecipativo. Se il cinema rimane l´ambito di studio prediletto, la sezione postcinema presenta le variazioni di quest’ultimo al di fuori del suo supporto tradizionale, come ad esempio le applicazioni interattive e in particolare delle ultime innovazioni nell’ambito della virtual reality. Il collettivo BeAnotherLab – gruppo di artisti, sviluppatori e ricercatori di diverse nazionalitá – ha presentato The Machine to be Another, applicazione sviluppata per Oculus Rift (i visori VR di recenti comprati da Facebook), che permette a due persone di indossare i panni dell´altro per una decina di minuti. Si indossano i visori e delle cuffie e pian piano partendo dal semplice movimento delle mani ci si accorge di essere nel corpo altrui, un’esperienza che si rivela disorientante in particolare quando, osservando il corpo dell´altra persona di fronte, si scopre di vedere il proprio corpo. Nella penultima serata, oltre alla presentazione di alcuni video riguardo alla perfomance di The Machine to be Another, era presente In Limbo di Antoine Viviani, artista che invece ha creato un’applicazione grazie ad una camera e al kinect, che riprende immagini tridimensionali. Le nuove esperienze postcinematografiche ricercano il coinvolgimento dello spettatore (o meglio del neo-spettatore) grazie all’uso dell’interattività, ma eccezionalmente la sensazione di immersione non è data dalla massiva presenza di questa, piuttosto da una narrazione più coinvolgente: così ha spiegato Stefano Odorico, ricercatore e docente a Leeds, che si occupa soprattutto di documentari interattivi. Per quanto riguarda invece la virtual reality (che di virtuale in questo caso ha poco), la tecnologia è ancora in via di perfezionamento e la possibilitá che diventi un fenomeno commerciale è ancora lontana. Per ora si limita ad una manciata di applicazioni che durano altrettanto poco. L’esperienza mediale per avere successo richiede di essere percepita in quanto autentica, ma come hanno fatto emergere in uno dei workshop alcuni ricercatori, pare che la stessa autenticità sia un concetto piuttosto astratto. Il potere di sentirsi immersi dunque non deriva soltanto dalla perfezione tecnica nel ricreare una determinata esperienza: forse l’importante è crederci davvero.