SPECIALE PAUL THOMAS ANDERSON
L’amore è a colori
Dopo due film enormi e debordanti come Boogie Nights e Magnolia, nel 2002 Paul Thomas Anderson decide di sorprendere e straniare con un film apparentemente più leggero e inquadrabile nettamente nei confini della commedia.
Apparentemente, appunto. Vero, Anderson prende alcuni ingredienti dalla commedia romantica: la faccia di Adam Sandler, la storia d’amore (con lieto fine), l’equivoco (grottesco), una corsa all’aeroporto, un tramonto alle Hawaii. Ma attraverso il filtro del suo stile potentissimo ne distorce i tempi e il ritmo, e li riempie di soluzioni visive e uditive per dar forma alle schegge di caos che travolgono la vita di Barry Egan. Come le danze di colori, o le dissolvenze a iride, o il dirompere di rumori improvvisi nel silenzio, a evocare graficamente e sonoramente un’indefinibile sensazione di disagio, di insofferenza, di infelicità rispetto ad una posizione in cui, a ben vedere, Barry non dovrebbe poi trovarsi tanto male. Che sia a causa della routine del bravo lavoratore, o della presenza soffocante di sette sorelle indagatrici, o della mancanza di un amore, Barry è frustrato, intimidito e preda di scatti d’ira. Dal suo garage-ufficio e dalla casa opprimente, Barry cerca altro: miglia-premio per volare lontano, o il conforto di una linea erotica, sempre usando il telefono come unico legame tangibile con un altrove, con altre persone che esulino dal suo contorno di famiglia-lavoro. Almeno fino all’arrivo di Lena. Uno dei motivi ricorrenti del film pare proprio un’incolmabile distanza da coprire, dall’amore o dall’adeguatezza al proprio posto nel mondo. Come al solito Anderson muove ovunque la macchina da presa, indugia sulla profondità di campo, aspettando o precedendo Barry, lo guarda guardare l’irrompere dell’assurdo (l’incidente, l’armonium) che sta per la manifestazione esteriore di una forza compressa e repressa. E Barry a un certo punto comincia a vedere e a muoversi, a correre in lungo e in largo e ad accorciarla, questa distanza: perché alla fine della strada, del tunnel, del parcheggio, del corridoio, c’è lei, Lena, che Barry lo aspetta e lo vuole così com’è. L’improbabile sottotrama “thriller” con a capo Philip Seymour Hoffman è la sfida di Barry, il sismografo che registra gli sbalzi della sua remissività e della sua rabbia, il punto di svolta in cui converge la forza inarrestabile rilasciata dal sentimento una volta divenuto una Cosa Vera. Se i film precedenti di Anderson rilevavano con profondità varie versioni di un sogno americano spezzettato, Ubriaco d’amore ne accoglie i frammenti e propone un antidoto, così inebriante e stordente da permettere di sopportare qualsiasi cosa.
Ubriaco d’amore [Punch-Drunk Love, USA 2002] REGIA Paul Thomas Anderson.
CAST Adam Sandler, Emily Watson, Philip Seymour Hoffman, Luis Guzman.
SCENEGGIATURA Paul Thomas Anderson. FOTOGRAFIA Robert Elswit. MUSICHE Jon Brion.
Commedia, durata 89 minuti.