Oltre la soglia del sogno
Nella classifica ideale dei luoghi proibiti, la palma del più scabroso toccherebbe alla psiche umana. A Sigmund Freud, dunque, il merito di averla violata per primo. Ma non ci si affaccia sul proprio inconscio senza pagarne lo scotto.
Cultore irriducibile delle scissioni dell’Io, con A Dangerous Method David Cronenberg le mostra all’opera sulle più alte autorità in materia. “Il metodo pericoloso” è appunto quello della psicoanalisi e proprio l’indagine delle pulsioni costringe Carl Gustav Jung ad affrontare le proprie. Nel legame ambivalente con Freud, ingombrante padre intellettuale, e con la paziente/amante Sabina Spielrein, a sua volta brillante scienziata, Jung esplora le contraddizioni più intime dell’essere umano, fino a restarne inevitabilmente sopraffatto. Aperta la porta dell’Es, questo traborda e contamina i luoghi, ne fa cassa di risonanza della realtà interiore, al punto che i protagonisti vi restano invischiati come le vittime nella tela di Spider (2002). Cronenberg li inscrive magistralmente in perfetti spazi-estensione che richiamano, peraltro, l’origine teatrale della sceneggiatura di Christopher Hampton. Così Freud troneggia autorevole nel privato come nella dimensione pubblica, radicato nella cultura ebraica e circondato dalla famiglia, l’una e l’altra riflesse nella congerie di oggetti di cui pullula il suo studio. Al contrario l’ariano Jung, freddo e analitico in superficie ma interiormente tormentato, occupa stanze apparentemente spoglie che tuttavia, dentro scatole e cassetti, nascondono insospettabili quantità di effetti personali. A spalancarli senza ritegno – e con un certo compiaciuto intuito – è Otto Gross, psichiatra tossicomane e poligamo impenitente. La sua natura indolente trova riscontro nel disordine incontenibile della sua camera, ricolma di schizzi e disegni, in netto contrasto con le verbose epistole che imbrigliano i rapporti degli altri tre. È infatti Otto a convincere Jung a liberare l’istinto, anteponendo la passione per Sabina alla stanca tenerezza verso la moglie. Quando la colpa e il prestigio lo spingono a tornare da quest’ultima, lunghi tavoli da pranzo ed eloquenti profondità di campo sottolineano comunque l’intima lontananza. Nonostante la narrazione aneddotica e largamente semplificata, la regia impeccabile di Cronenberg lascia emergere efficacemente le tensioni sotterranee, misurando prossimità e distanze, squallidi vuoti e ipertrofici volumi. Dalla micromimica di Fassbender alla spasmodica irruenza della Knightley passando per un severo Mortensen e un Cassel amabilmente beffardo, le nevrosi di ciascuno si dispiegano in insostenibili gabbie mentali, che distorcono la realtà oggettiva in un’alcova di autodistruzione. L’accettazione delle pulsioni avvelena l’animo quanto il loro rifiuto e i loro simboli più eclatanti infestano gli ambienti non meno dei sogni. È con questa consapevolezza che, in viaggio verso gli Stati Uniti, Freud chiederà a Jung: “Secondo lei lo sanno che stiamo portando la Peste?”.
A Dangerous Method [Id., USA 2011] REGIA David Cronenberg.
CAST Michael Fassbender, Keira Knightley, Viggo Mortensen, Vincent Cassel, Sarah Gadon.
SCENEGGIATURA Christopher Hampton (tratta dal romanzo Un metodo molto pericoloso di John Kerr). FOTOGRAFIA Peter Suschitzky. MUSICHE Howard Shore.
Biografico/Storico/Drammatico, durata 99 minuti.