Uccidere i padri
A Dangerous Method è stato da più di un commentatore considerato un calligrafico melodramma d’epoca, un esercizio di stile, e perciò un corpo estraneo alla filmografia del regista canadese: scavando un minimo ci si accorge, al contrario, che molti temi preferiti dall’autore sono presenti, anche se magari meno immediatamente evidenti di altre volte.
D’altronde, l’incontro tra i fondatori della psicoanalisi e colui che ha da sempre analizzato le deviazioni e le deformazioni dell’inconscio, il rapporto tra corpo e psiche e ha raccontato esempi di follia e di degenerazione, era nell’ordine delle cose, quasi inevitabile; è come se il regista avesse voluto fare i conti con due dei numi tutelari della sua poetica, puntare l’attenzione su di loro, e freudianamente “uccidere i padri”. Viene infatti riconosciuta la loro importanza, ma Freud e Jung, sotto certi aspetti, si aggiungono all’elenco dei personaggi del cinema di Cronenberg a cui si ritorcono contro l’eccessiva fiducia nella scienza e nella sua capacità di spostare in avanti l’asticella del possibile. Non solo, più banalmente, entrambi sono caratterizzati da piccole nevrosi, messe maggiormente in evidenza a seconda di chi nel dato momento del film è in posizione “minoritaria”, come la ghiottoneria di Jung durante la prima visita a casa di Freud, quando il rapporto tra i due era ancora caratterizzato dalla devozione del più giovane. Più sottilmente, sembra che la loro teorizzazione e riflessione psicoanalitica siano state frutto di un’inevitabile discesa nelle angosce, in cui si è avuto empiricamente a che fare con la nevrosi, poi superata e metabolizzata dallo studio, ma che ha certamente causato una decisiva perdita di sé. L’esempio emblematico è la vera protagonista del film, Sabina Spielrein, isterica che diventerà la prima donna psicoanalista di fama, dopo essere stata paziente-amante-allieva di Jung, e le cui teorie influenzeranno Freud nella teorizzazione del rapporto piacere-pulsione di morte. È su di lei che, non a caso, soprattutto nella prima parte, troviamo accenni di quell’attenzione tipica di Cronenberg alla rappresentazione dei “corpi” martoriati e deformati come metafora della deriva del proprio io. A dangerous method è un film molto “teorico”, di una notevole complessità semantica e tematica che va ben oltre l’apparente semplicità della messa in scena, e che investe ogni particolare, a partire dal significato degli spazi e degli arredi, fino alla fotografia monocorde che da quasi una sensazione di “tinta unita” alle sequenze e che così meglio isola gli sviluppi dei personaggi. Le strade che si possono percorrere partendo dall’analisi dei personaggi e dell’ambiente sono molteplici, come, per esempio, l rapporto dei due medici con il loro retroterra religioso e culturale. Conta qui dire che, per quanto agiscano a livello carsico più di altre volte, le tematiche e le ossessioni del regista canadese sono presenti. Anche il fatto che sia, in buona parte, un melodramma non è certo una novità: basti ricordare, per esempio, La mosca, Rabid: sete di sangue e Gli inseparabili.
A Dangerous Method [Id., USA 2011] REGIA David Cronenberg.
CAST Michael Fassbender, Keira Knightley, Viggo Mortensen, Vincent Cassel, Sarah Gadon.
SCENEGGIATURA Christopher Hampton (tratta dal romanzo Un metodo molto pericoloso di John Kerr). FOTOGRAFIA Peter Suschitzky. MUSICHE Howard Shore.
Biografico/Storico/Drammatico, durata 99 minuti.