Nel recente Domenicale del Sole 24ore, uscito il 25 settembre, Roberto Escobar ha proposto un divertente ritratto delle tipologie di critico cinematografico. Ci sarebbero lo scienziato (che desidera produrre giudizi esatti e insindacabili) e l’imbonitore (che dà consigli per gli acquisti).
Il problema, però, è che “fra i due estremi ci sono molte sfumature. E ancor prima c’è la convinzione che ogni spettatore in fondo ha: che è lui, e non il critico, il depositario della verità filmica – espressione orrida, di cui è bene scusarsi subito –, e del miglior gusto cinematografico possibile. Per quanto l’amor proprio del recensore ne soffra, questa pretesa è sacrosanta: ognuno ha la libertà di divertirsi come crede, e il diritto di farlo come può”. Aggiunge, più avanti, Escobar, che il critico può anche essere agrimensore, prete, profeta, ma più in generale deve condurre una lunga gavetta, un apprendistato in cui prima vede i film da spettatore, poi comincia a non goderseli più perché li scruta e analizza come un professore, infine introietta questi strumenti e fa di se stesso uno spettatore-critico.
Ora, lungi da me liquidare Escobar, che merita tutto il rispetto di chi ha fatto un pezzo di storia della critica. Egli, però, parla di un mondo che non esiste più. L’apprendistato che consiglia (e di fatto caldeggia) fa parte di un passato nel quale si poteva entrare in una redazione, lavorare a fianco del maestro, farsi da soli una cultura, ambire a una carriera tutta interna al giornalismo. Forse bisognerebbe ricordare che nel frattempo sono nate le Università dove si studia la storia del cinema, si è sviluppata la disciplina dell’analisi del film, vengono proposti percorsi di formazione alla teoria e alla critica (Mediacritica nasce così), e che la mera frequentazione delle sale cinematografiche non è minimamente sufficiente a un sapere complesso e profondo. La sensazione è che, per quanto brillante e in parte condivisibile (specie nelle tipologie, molto acute, di critico), il pezzo di Escobar non farà che confermare l’idea vaga e ingiusta che si ha della critica, ovvero di un manipolo di scioperati che basano i proprio giudizi su idiosincrasie per lo più personali. Purtroppo, dal momento che in questo identico modo si autorappresentano molti critici (non solo giovani) che credono di aver titolo a sfornare giudizi su qualsiasi film senza sapere un tubo di cinema, l’orizzonte appare poco roseo. L’importante, però, è crederci, e andare avanti per la propria strada. Il tempo di solito è galantuomo.