Una lenta contrapposizione
Un gruppo di ragazzini ama ballare e si prepara ad un tour attraverso il suo Paese per presentare versioni di balli tradizionali assieme al proprio insegnante. Stiamo però parlando della Cecenia, terra disastrata e dilaniata dai conflitti interni, in cui si mescolano aspirazioni personali, vita quotidiana contadina e paesaggi che portano i segni delle ferite passate.
Jos de Putter è un rinomato documentarista a cui è stata dedicata un’intera sezione del 55° Festival dei Popoli. Il suo stile registico predilige articolazioni dolci e leggere, così da riuscire ad adattarsi ad una vasta gamma di tematiche e stili dialogici, come dimostrato dai titoli proposti dalla rassegna fiorentina. Nel corso di Dans, Groszny dans il regista coniuga insieme diversi linguaggi, contrapponendo le note e i passi dei balli tradizionali ai paesaggi marchiati dalle sofferenze e dalle necessità della terra. Le musiche, quasi sempre intradiegetiche, fanno da contrappunto ai dialoghi dei protagonisti, sempre concentrati sulla loro performance imminente. Il viaggio comunque lascia largo spazio all’esplorazione del rapporto tra i ragazzi ed il loro territorio, mettendo in luce le contraddizioni del loro “vivere la vita” contadina e la nazione che li circonda. Accarezzare un coniglio dentro una gabbia diventa così un gesto di resistenza, se non di vera protesta, per il fatto di dover sacrificare le passioni individuali alle problematiche decise da altri. Le danze tradizionali assumono un sentore quasi esotico, come un linguaggio che riporti alla mente immagini di un passato relativamente recente. Il regista resta al di fuori delle inquadrature, mai imponendo i propri commenti o le proprie digressioni sui fatti storici accennati. In ogni caso il film non si salva da un andamento stagnante, a tratti sforzato nel suo rilassamento scopico e razionale. Dialoghi e immagini assumono presto un’estetica ripetitiva che quindi non aiuta la relativamente breve durata. Interessante è quindi il lavoro concettuale più che il risultato in sé, o forse meglio dire che l’argomentazione prevale sul modo di presentarla. In ogni caso, Jos de Putter si conferma anche in questo film un regista che sa perfettamente ciò che fa e ciò che mostra, dando un ottimo esempio di quello che si può trasmettere con il linguaggio cinematografico. Pur mantenendosi sempre a debita distanza da una presa di posizione ostentata e sterile, il regista mostra la portata degli accadimenti storici nella vita dei singoli, opponendo una circostanza (storica e politica) contingente alle aspirazioni personali che assurgono a moti universali.
The Damned and the Sacred [Dans, Grozny dans, Paesi Bassi 2002] REGIA Jos de Putter.
SCENEGGIATURA Jos de Putter. FOTOGRAFIA Vladas Naudzius. MUSICHE Vincent van Warmerdam.
Documentario, durata 75 minuti.