Che Hollywood si sia incartata in una spirale di reboot, remake, sequel, prequel, sceneggiature tratte da…, è cosa nota ed indiscussa. Che attinga ad un bacino di storie rigorosamente non originali pure. E che nell’ultimo lustro abbia riscoperto in maniera massiccia le fiabe e le favole è quasi superfluo scriverlo.
Basta gettare uno sguardo a due dei titoli in uscita il prossimo anno e su cui sono puntati occhi e speranze: il musical Into the Woods diretto da Rob Marshall e Cinderella di Kenneth Branagh. Entrambi si rivolgono al mondo delle fiabe, entrambi si innestano sul sentiero già tracciato da pellicole la cui perfetta rappresentante non può che essere la Maleficent magistralmente portata in scena da Angelina Jolie nel film omonimo. Un personaggio che per quanto ben interpretato stigmatizza alla perfezione il problema che intercorre fra fiabe e grande schermo. Se nel mondo dell’animazione il problema sembra molto ridotto, con fiabe in cui un orco verde può fungere da motore per una presentazione in una luce diversa ma molto credibile degli archetipi tradizionali, altrettanto non si può dire del passaggio su grande schermo. Quasi dovessero pagare lo scotto di diventare corpi, seppur solo cinematografici, di carne e fattezze reali, i vecchi ruoli vengono rimessi in discussione senza mezzi termini. Con un rimodernamento forzato, l’antagonista deve sfoggiare un background drammatico che lo giustifichi, la protagonista non può permettersi il lusso di sperare che qualcuno l’aiuti e scalza il principe, spesso ridotto ad un idiota calzamagliato – di nuovo, si vedano Maleficent e il deludente Biancaneve – prendendone il posto in groppa al bianco destriero. Non è certo la prima volta che i racconti tradizionali sono messi in discussione.
Ma se in pellicole come I fratelli Grimm e l’incantevole Strega l’antagonista veniva presa ed approfondita restando se stessa, senza negarne la necessaria natura maligna da contrapporre alla bontà del protagonista pur arricchendola di nuovi particolari, così non avviene oggi.
I film fanno fatica a seguire i fasti dei loro predecessori cinematografici e cartacei (e il flop di La Belle e la Bestia di Christophe Gans è lì a dimostrarlo), perché nell’ansia di selvaggio ammodernamento si è persa la struttura base del “Viaggio dell’Eroe” di vogleriana memoria. Una storia parte nel momento in cui un equilibrio si spezza. E il protagonista, questo è forse uno degli insegnamenti più importanti, da solo non può farcela. Ha bisogno di un Mentore, di un Aiutante. La sua forza scaturisce tanto da sé quanto da chi lo circonda. Ed è per questo che vince il Male, arroccato in solitaria nel suo maniero, incapace di stringere legami sinceri attorno a lui. Il cinema dell’ultimo periodo, però, preso nel suo loop isterico di rimodernamento pseudo femminista e di cinico svecchiamento dei racconti, sembra essersene dimenticato.