SPECIALE JOHN LE CARRÉ
La fiducia di una nazione
Nell’ambito della globale caccia alle streghe degli anni ’50, un funzionario del controspionaggio britannico non si arrende davanti all’apparente suicidio di un suo collega, appena scagionato dalle accuse di comunismo. Proseguendo le indagini a titolo personale, Charles Dobbs scopre una rete organizzata grande quanto tutta la città di Londra.
Chiamata per il morto è uno di quei film in cui il soggetto e la trama sostengono la sua intera architettura, coadiuvati da ottime interpretazioni e da una regia che lascia i giusti spazi al racconto stesso. La composizione narrativa è molto articolata e necessita proprio per questo di tempi e spazi giusti per essere seguita adeguatamente: Lumet non si fa prendere la mano e fa in modo di non compromettere l’intelligibilità del film e della storia.
Quest’ultima, in fondo, è la vera colonna portante del film. Tratta dal primo romanzo di John le Carré, la narrazione ha il grande pregio di riuscire a mescolare ed equilibrare bene le diverse ingerenze. Chiamata per il morto, infatti, è prima di tutto un film di spionaggio, un crime politico, ma è anche una riflessione sui rapporti umani, amorosi o amichevoli che siano. Non si tratta solamente di un freddo e anestetico racconto politico di spie e sospetti, ma emergono anche relazioni sterili, o rese tali dal tempo, che legano persone che non riescono a vivere diversamente. È il caso delle relazioni amorose in primis, ma anche di quella di amicizia tra il protagonista e l’amico, nonché amante della volubile moglie.
Rapporti di fiducia che si creano e si sfaldano nell’arco di anni e che si mantengono sempre malleabili secondo le forze contingenti. Quello che intercorre tra un uomo e una donna si accavalla così con quello che succede tra gli stessi e le persone che li circondano, ma anche con la storia del loro Paese e, in fondo, di tutto il mondo. Una storia di spionaggio diventa una matrioska di vicende personali e nazionali, senza però perdere di vista l’obiettivo principale, cioè la risoluzione del caso. A fare da sfondo a tutto questo resta una Londra cupa ma vissuta, ricca di vita culturale e intessuta di rapporti umani in maniera quasi surreale. Voltafaccia insospettabili e uno sfaldamento relazionale si muovono ineluttabilmente per le strade della buia città. Londra diventa una grande piazza su cui dirimere situazioni personali e svelare misteri, legati appunto alla perdita di una certa innocenza dello sguardo nei confronti delle persone che si credeva di conoscere. La fiducia, una volta intaccata, è pressoché impossibile da recuperare e la dimostrazione è che nessuno dei rapporti esce illeso da questa reazione a catena di sospetti e certezze.
Chiamata per il morto [The Deadly Affair, Gran Bretagna 1966] REGIA Sidney Lumet.
CAST James Mason, Maximilian Schell, Harriet Andersson, Harry Andrews, Simone Signoret
SCENEGGIATURA Paul Dehn (tratta dall’omonimo romanzo di John le Carré). FOTOGRAFIA Freddie Young. MUSICHE Quincy Jones.
Spionaggio, durata 115 minuti.