Eravamo 5 amici…
Se Gino Paoli cantava di quattro amici al bar e della loro perdita d’illusioni e sogni, Laurent Cantet racconta di cinque amici cubani, tutti con più anni da ricordare che da vivere e tutti con la loro dose di rimpianti, disillusioni e recriminazioni, che si ritrovano per una festa all’insegna dei vecchi tempi su una terrazza de L’Avana.
La rimpatriata diventa ben presto un gioco al massacro, scatenato dal rinfacciarsi delle disillusioni e delle recriminazioni, tutte condite della stessa dose di rimpianti intimi e dei diversi modi in cui si è vissuto il regime cubano; c’è chi è scappato in Europa e non è più tornato, chi è sceso a patti con il sistema e la corruzione nel miraggio della bella vita occidentale, chi è vittima di un’interminabile crisi creativa, chi si arrabatta e chi è legato, in ogni senso, ai figli emigrati. Così l’intreccio pubblico-privato diventa sempre più vischioso man mano che il film avanza: la voglia di cambiare il mondo della gioventù è un pallido ricordo così come la volontà di credere nell’ideale socialista, e il presente problematico della nazione è parallelo ad una vita costellata di rimpianti e di perdite. A metà strada tra il Carnage polanskiano – con meno cinismo e con l’ovvio affetto che permane nonostante tutto tra gli amici di una vita – e Il Grande Freddo, ma anche con più di un piede in un certo modo di fare cinema tra quattro mura diffuso aldiquà e aldilà delle Alpi, Cantet si affida totalmente ai dialoghi e al quintetto d’interpreti, con la cinepresa appiccicata ai loro volti, spesso traballante, e con un minimalismo che dà al film uno stampo quasi teatrale. Scelta di regia, indiscutibilmente; ma scelta di regia anche obsoleta, manierista e poco efficace, tanto più se si pensa che Cantet era, una quindicina d’anni fa, una delle promesse del cinema europeo grazie a film come Risorse Umane e soprattutto come quel capolavoro d’inquietante senso politico A tempo pieno. In questo caso sembra quasi che il regista abbia deciso di venire meno al suo ruolo affidando il peso dell’opera quasi totalmente ad altre componenti, limitandosi a dirigere il traffico tra i vari primi piani degli interpreti e qualche campo medio di gruppo, in un minimalismo decisamente di maniera. Certo, gli effetti del regime cubano sull’intimo e i vari modi messi in atto dai protagonisti per conviverci, combatterlo e non soccombere, rendono Ritorno a L’Avana più interessante e pregnante dei solipsismi piccolo-borghesi raccontati da entrambi i versanti delle Alpi -e gli attori sono strepitosi-, ma il risultato finale non si allontana molto da quel modo di concepire un cinema che cerchi di raccontare gli intrecci tra privato e pubblico, in buona parte fallendo, o comunque risultando meno emblematico delle aspettative.
Ritorno a L’Avana [Rétour à Ithaque, Francia 2014] REGIA Laurent Cantet.
CAST Isabel Santos, Jorge Peruggoìa, Fernando Hechevarria, Nesto Jimenéz, Pedro J. Diàz Ferran.
SCENEGGIATURA Laurent Cantet, Leonardo Padura. FOTOGRAFIA Diego Dussuel. MUSICHE Martin Caraux.
Drammatico, durata 90 minuti.