È innegabile il fatto che il binomio cinema e filosofia continui a suscitare un certo interesse da parte degli studiosi di entrambe le discipline. Lo dimostrano le numerose recenti pubblicazioni che – seguendo metodologie differenti – rilanciano un percorso interdisciplinare che non si ferma ai “classici” Cavell, Deleuze e Lyotard.
Pensiamo ai da poco tradotti La filosofia del cinema di Noël Carroll (Dino Audino, Roma, 2011) e Pensare sullo schermo. Cinema e filosofia di Thomas E. Wartemberg (Mimesis, Milano-Udine, 2011); oppure agli ultimi lavori di ricercatori italiani: Filosofia del film di Enrico Terrone (Carocci, Roma, 2014) e Filosofia del cinema di Daniela Angelucci (Carocci, Roma, 2013).
Microfilosofia del cinema di Paolo Bertetto (Marsilio, Venezia, 2014) si muove sui medesimi binari ponendo in evidenza, nello specifico, le modalità attraverso cui il cinema produce concetti. È una strada tortuosa che riguarda, anzitutto, la presa di coscienza rispetto all’intensa relazione che la settima arte intrattiene con il pensiero. Non teoria del cinema ma, a detta dell’autore, “una metateoria del cinema perché riflette insieme sul cinema e sulla sua teoria. Ma soprattutto è un percorso intellettivo che […] considera quindi il cinema non come un terreno che la filosofia può rischiarare, ma come un orizzonte che crea concetti e rielabora idee”.
È su questo orizzonte che si fonda il percorso metodologico del progetto, riprendendo da Deleuze l’idea che il cinema sia un luogo di Pensiero e che, manifestandosi come tale, agisca nella creazione di concetti. Non esiste, quindi, un livello gerarchico che arbitrariamente separa il cinema e i concetti, ma un movimento automatico che produce uno choc sul pensiero (un noochoc) che “investe direttamente la mente. E, sotto questo profilo, […] spinge lo spettatore a pensare, a elaborare una serie di concetti”.
Da questa prospettiva prende il via la sezione forse più interessante del volume: quella dedicata ai personaggi concettuali nel cinema, ovvero a quelle “figure simboliche” che trainano l’idea del racconto e configurano il nodo concettuale del testo. Il Dr. Mabuse, dunque, come superuomo bipolare e l’assassino di M. come soggetto parafrenico diventano i principali “agenti di enunciazione” dei film; allo stesso modo, il personaggio prismatico di Citizen Kane diviene il fulcro del percorso intellettuale dell’opera.
Altre sezioni, invece, riguardano il rapporto tra cinema e filosofia in un’ottica più comparativa che mette in relazione gli orizzonti comuni delle due discipline. Ecco che si parla dei film di Buñuel e Dalì (Un chien andalou e L’âge d’or) come anticipatori dell’idea lacaniana del desiderio; di una società dello spettacolo debordiana preventivamente configurata da Fellini; di una derridiana decostruzione realizzata da Godard, e via di seguito. Non mancano i rimandi nietzscheani di fine del mondo vero nei film espressionisti, in Antonioni e Lynch e neppure l’idea marxiana di fantasmagoria particolarmente calzante nel cinema hollywoodiano contemporaneo e nella science fiction.
Un testo denso e ricco di stimoli, un efficace manuale introduttivo per lo studente interessato ad approfondire lo studio del pensiero al cinema.