Biografilm Festival, 10a Edizione, 6 – 16 giugno 2014, Bologna
Inno alla vita
Gabrielle ha la sindrome di Williams (proprio come la sua interprete, una straordinaria Marion-Rivard), ma nei dialoghi non viene nemmeno nominata. Quel che importa è che Gabrielle è innamorata, ricambiata, di Martin, conosciuto al centro Les Muses di Montréal, dove entrambi si esercitano nelle prove di un coro, in attesa di esibirsi al festival di Laval, insieme alla star Robert Charlebois, in una serie di canzoni, tra cui il manifesto Ordinaire.
Uno dei meriti del film di Louise Archambault, delicato, minimalista ed elegante, lontano da messaggi buonisti e tesi da dimostrare, è di non spettacolarizzare affatto la sofferenza: i problemi dei personaggi non sono colpevolmente o ipocritamente rimossi, ma non costituiscono il fulcro del racconto. Chi ha la sindrome di Williams ha sì problemi di salute fisica e tratti caratteristici del volto ma spesso, come in questo caso, possiede anche spiccate doti musicali e un comportamento estremamente socievole. Proprio su questi due aspetti il film preferisce soffermarsi e sceglie, così, la strada della storia d’amore contrastata, e in parte quella del romanzo di formazione, anche se, a causa del finale un po’ buttato via e inconcludente, che non si può neanche spacciare per “aperto”, la protagonista non sembra molto diversa da come era all’inizio e quindi non c’è una vera e propria crescita del personaggio. La ventiduenne Gabrielle però, deve affrontare durante il film una serie di situazioni per lei complicate, in cui il suo comportamento è quello di una ragazzina con un desiderio di indipendenza manifestato in maniera quasi incontrollabile: in particolare, vorrebbe vivere da sola, per potersi incontrare liberamente con Martin che, oltre ad avere i suoi problemi psichici, è anche succube di una madre possessiva. Il fatto che lo sviluppo di Gabrielle possa sembrare semplicemente in ritardo di alcuni anni nei confronti dei coetanei e l’ingenuità dello stesso Martin, che di anni ne ha venticinque ma, assicura la mamma, è ancora vergine, trasformano il film in una storia d’amore tra adolescenti eccezionalmente privi di telefonino che, anagraficamente, adolescenti non sono più. Il pudore naturale della regia, con la mdp spesso a mano che accarezza i volti e i corpi illuminati da una luce solare forte e osserva senza giudicare, è il punto di forza di un film che riesce a evitare tutti i rischi di un soggetto difficile, a partire dalla morbosità voyeuristica nelle scene di passione. Meglio non chiedersi cosa sarebbe diventato il film se fosse stato affidato a un banale mestierante hollywoodiano, o, peggio, girato in Italia con la superficialità che spesso contraddistingue i film sui “diversi”.
Gabrielle [id., Canada 2013] REGIA Louise Archambault.
CAST Gabrielle Marion-Rivard, Alexandre Landry, Mélissa Désormeaux-Poulin, Vincent-Guillaume Otis.
SCENEGGIATURA Louise Archambault. FOTOGRAFIA Mathieu Laverdière. MUSICHE François Lafontaine.
Drammatico, durata 104 minuti.