INEDITO, USA-FRANCIA 2010
Kaboom senza il botto
Smith va al college, non crede “alle categorie sessuali prestabilite”, ha una migliore amica molto cool, Stella, e una cotta per il suo compagno di stanza, Thor di nome e di aspetto: dopo che un sogno ricorrente si rivela premonitore, Smith e una sua nuova conoscenza, London, si trovano al centro di un pericoloso quanto incredibile complotto per un “Nuovo Ordine” che coinvolge sette e poteri mentali.
Araki è sempre acuto nel dipingere in modo originale gli aspetti più dolorosi, controversi o semplicemente ambigui dell’infanzia e della giovinezza: anche in Kaboom quello che riesce meglio è l’invenzione visiva e comportamentale che inquadra una generazione di ventenni, borderline ma non troppo (Smith non ha padre, è vero, ma è “alto borghese” e studia cinema; Stella, prevedibilmente, fa arte), che hanno accettato e assimilato l’idea di “divenire” che è propria di quella fase della vita: contro le categorizzazioni, contro le codifiche di comportamento, insomma contro tutto ciò che significa staticità. Araki sembra condividere e assimilare nelle modalità di racconto questa attitudine: quello che conta è l’immediatezza della visione, la sequenza più che la narrazione complessiva. Colori, irresistibili mise pop, promiscuità sessuale, molta leggerezza e un po’ di soprannaturale: un miscuglio teen-scifi-action (supportato dal giusto cast) che sembra attingere da una certa tendenza della serialità contemporanea, da Heroes a Misfits, ma a differenza che nelle pellicole precedenti di Araki, alla coerenza della rappresentazione dell’universo giovanile non corrisponde una storia altrettanto coerente. Per gran parte del film assistiamo alle conseguenze delle varie conquiste sentimentali e sessuali dei protagonisti, ma da un lato manca una vera integrazione dell’elemento fantastico con la normalità, dall’altro non convincono le frettolose spiegazioni finali: lascia insoddisfatti la svolta narrativa conclusiva, con il palesamento improvviso ma tutt’altro che inaspettato dell’Antagonista e con tanto di inseguimento rocambolesco. Come spesso accade, l’assenza dei genitori o la loro irresponsabilità sono la chiave di tutto; ma l’ambizioso plot politico-parentale è subito tralasciato a favore di una scelta chiassosa, che però perde per strada la carica di ironia che avrebbe potuto renderla azzeccata.