SPECIALE CARLO MAZZACURATI
Frammenti esistenziali
Vesna corre, ma non va da nessuna parte. Osserva il mare che si confonde con l’azzurro dei suoi occhi, assenti e pieni di nostalgia. Qui si specchia, si tuffa e abbandona sogni e speranze fugaci. Frammenti del passato e spettri del presente, come quelli indagati dalla leggerezza compositiva di Mazzacurati, cantore delle solitudini del Nord-Est italico, delle sue inquietudini e di uno spazio-tempo colmo di amarezza e disillusione.
Che sia il viaggio di un comunista da Padova fino in toscana (Vagabondi), l’amore tormentato su un terreno da espropriare sul delta del Po (Notte italiana) o il proletario disincanto di due allevatori (Il toro), la realtà sociale, lucidamente analizzata dal cineasta padovano, è vivisezionata tra le rovine di due modelli economici: vestigia socialiste dell’est e galoppante globalizzazione occidentale. Dopo Un’altra vita, che guarda all’hinterland romano come antro cupo in cui si annidano malavita e prostituzione, il toro che Franco e Loris cercano di piazzare sul mercato ungherese nel film del ’94 diventa metafora del capitalismo e allegoria della sopravvivenza, in una trilogia dell’est europeo che si chiude con la Ve(s)na malinconica del suo lavoro più intimista. Difficile restare indifferenti di fronte all’angelicata cecoslovacca dagli occhi blu e dal sorriso appena accennato. Figura evanescente, ai margini, come la varia umanità che affolla le periferie disagiate di Trieste e Rimini, “oggetto” sfuggente e quasi capitalizzato dalle truffaldine logiche affaristiche dei clan di quartiere. Vesna, che sceglie di restare in Italia a vagheggiare chimere offuscate all’orizzonte, costretta a prostituirsi per sopravvivere, è straniera per la comunità e per l’amica Magda, a cui scrive, mentendo, del lavoro appagante e redditizio che ha trovato nel belpaese. Tra amplessi meccanici e reticenze sentimentali, s’imbatte in Antonio (Albanese) che la salva dopo un’aggressione e la ospita in casa. Il sentimento sbocciato tra i due sarà ostacolato dai suoi silenzi e dal visto dell’immigrazione. Con intento poco conciliatorio e con centellinato e sfumato struggimento, il regista racconta di un’emarginata che lotta per restare a galla, nell’incontro/scontro fra culture diverse che modula il dramma dal sapore dolceamaro. Poco incisivo nella resa espressiva, ma pervaso da accorato lirismo, il racconto di de(formazione) della bionda dell’Est ricrea, in alcuni momenti, uno spazio fuori dal tempo e dal conflitto sociale: Vesna è sola, balla in spiaggia, scruta l’orizzonte e continua a correre, non si sa dove, mentre nel finale, al soleggiato litorale estivo, subentra un cielo plumbeo e una pioggia battente che sporca l’obiettivo e nasconde l’orizzonte. Il mare non c’è più.
Vesna va veloce [id., Italia/Francia 1996] REGIA Carlo Mazzacurati.
CAST Tereza Zajickova, Antonio Albanese, Silvio Orlando, Ivano Marescotti, Stefano Accorsi.
SCENEGGIATURA Umberto Contarello, Carlo Mazzacurati, Sandro Petraglia, Claudio Piersanti, Stefano Rulli. FOTOGRAFIA Alessandro Pesci. MUSICHE Jan Garbarek.
Drammatico, durata 92 minuti.