SPECIALE CINEMA DELLA SCHIAVITÙ
“Ciò che siamo, è ciò che eravamo”
Tra le pieghe nascoste della Storia, Spielberg riesuma, con toni magniloquenti e intenti cattedratici, una vicenda dimenticata ed esemplare sull’odissea schiavista, memore della lezione democratica nordamericana.
Storyteller nostalgico e creatore di un immaginario poetico che ridà linfa al blockbuster made in USA, l’affabulatore di Cincinnati, da enfant prodige del cinema di intrattenimento, si muta in cronista disincantato che reinventa il kolossal storiografico di denuncia sociale. Dopo il resoconto del genocidio nazista, lo sguardo indagatore di Spielberg, attraversato dalla drammaturgia di stampo hollywoodiano che ammorbidisce l’asprezza della denuncia nel tono garbato dello spaccato romanzesco, è rivolto al girone infernale dello schiavismo. Nel 1839, in seguito all’ammutinamento dell’Amistad, vascello spagnolo su cui sono imbarcati 53 schiavi africani al largo di Cuba, i prigionieri guidati da Cinqué, diretti verso l’Africa, vengono nuovamente catturati e processati per l’omicidio dei membri dell’equipaggio. Sotto la supervisione di due abolizionisti, il giovane avvocato Baldwin (Matthew McConaughey) è ingaggiato per salvaguardare gli interessi dei 53 rivoltosi, mentre J.Q. Adams, ex presidente degli Stati Uniti col volto saggio di Anthony Hopkins, conduce difese appassionate sulla libertà, prima di essere interpellato nella solenne requisitoria finale. Stilisticamente impeccabile, il film è un duro affondo all’America segregazionista, appesantito da studiato accademismo (lungaggini giudiziarie) e stemperato da retorica buonista (orazioni fin troppo didascaliche); tuttavia, nel solco tracciato da Stanley Kramer, il racconto truce, magistralmente illuminato dalla fotografia di Kaminski, si trasforma in exemplum giudiziario capace di imprimere un profondo senso di autocoscienza anche nello spettatore più ingenuo. Il regista degli incanti onirici sublima inquietudini individuali e drammi sociali nell’epica solenne di immagini evocative, aiutato da un cast eterogeneo tra cui spicca Djimon Hounsou, lo schiavo “biblico”. Ispirato dai dettami evangelici conosciuti in carcere, scorge nelle tre vele del vascello il riflesso della croce, assurgendo a figura Christi e definendosi deus ex machina per la sua gente ridotta a merce di scambio, senza identità. Nel resoconto di una conflagrazione storica presaga della Guerra di Secessione, Spielberg riflette sulle storie del singolo indissociabili dalla Storia collettiva e, come nel caso di Schindler’s List, Salvate il soldato Ryan o del più essenziale Lincoln, si appella all’individuo che può fare la differenza nel grande mare magnum di vincitori e sconfitti.
Amistad [id., USA 1997] REGIA Steven Spielberg.
CAST Djimon Hounsou, Matthew McConaughey, Morgan Freeman, Anthony Hopkins, Nigel Hawthorne.
SCENEGGIATURA Cesare Franza, David Franzoni. FOTOGRAFIA Janusz Kaminski. MUSICHE John Williams, Debbie Allen.
Drammatico, durata 155 minuti.