TRIBUTO A PHILIP SEYMOUR HOFFMAN
Incredulità e lacrime
Una capacità mimetica fuori dal comune, una voce duttile, un talento inimmaginabile: questo è Philip Seymour Hoffman, trovato morto nel suo appartamento il 2 febbraio. Dopo questa tragedia, è ancora più straordinaria, monumentale e divina la sua interpretazione – premiata con l’Oscar – in Truman Capote – A sangue freddo.
Voce, corpo e gesti costruiscono la fotografia perfetta di un mito americano, uomo complesso, istrionico, dall’ego gigantesco, che si nutre dell’ossessione per la Creazione, ossessione battente, pulsante: scrivere il libro A sangue freddo sull’omicidio dei Clutter, entrare nel mondo malato e perverso degli assassini Dick Hickock e Perry Smith. “Mi ha scarnificato fino al midollo delle ossa”: così Capote racconta il percorso della e nella sua opera, e la stessa scarnificazione sembra colpire Hoffman. La voce, calda e pastosa, si fa “sottile”, efebica, trascinata; il corpo, “alleggerito” dal peso della mascolinità e virilità, danza con cura e leggiadria femminina; il volto, porta con sé il groviglio di emozioni, i dubbi, le angosce, le infantilità dell’uomo, dello scrittore. Hoffman, impomatato, sigaretta tra le mani, occhiali, in un gioco magico e tragico incarna l’etica dell’artista, l’ambiguità, le ambizioni e le contraddizioni dell’uomo. Miller racconta la genesi di un’opera, la ricerca – nel braccio della morte e nella mente dell’assassino – e la perdita – di sé, della propria “ragione di vita” (parafrasando Lacan: è più forte la Mancanza dell’oggetto desiderato che il desiderio stesso; raggiunto l’oggetto, il desiderio si placa) -, la dissoluzione dei criminali, ma anche di Capote. In questo mondo livido, frammentato e perso, meravigliosamente impressionato da Adam Kimmel, giganteggia Hoffman con la sua recitazione tanto profonda da commuovere. Passa dalla boria del letterato alla compassione fraterna e “cristiana”, nutre l’agnello in una parabola quasi evangelica in cui non esistono buono e cattivo, vittima e carnefice, ma solo due “fratelli”, nati dalla stessa madre disperata e inadeguata, gemelli “cresciuti nella stessa casa” ma “un giorno l’uno uscito dalla porta di fronte e l’altro dal retro”. Se in Capote abita il conflitto tra vita e morte, lo stesso conflitto ha abitato Hoffman: dentro i personaggi e fuori da sé e viceversa, dentro il sistema hollywoodiano ma mai schiavo, tra equilibrio e mancanza, tra armonia e disarmonia, tra eccesso e moderazione, l’attore mette in scena un perpetuo vivere e morire. Dopo aver visto Truman Capote il lutto spettatoriale si fa ancor più forte. Hoffman ci mancherà.
Truman Capote – A sangue freddo [Capote, USA 2005] REGIA Bennett Miller.
CAST Philip Seymour Hoffman, Catherine Keener, Clifton Collins Jr., Chris Cooper, Bruce Greenwood.
SCENEGGIATURA Dan Futterman (tratto dal romanzo Capote: A Biography di Gerald Clarke). FOTOGRAFIA Adam Kimmel. MUSICHE Mychael Danna.
Biografico/Drammatico, durata 98 minuti.