La discesa agli inferi faulkneriana
Il salto dal copione alla macchina da presa è sovente nel mondo del cinema: in particolare, negli anni più recenti esso sembra aver contagiato molti professionisti hollywoodiani. In alcuni casi con risultati pressoché fallimentari, in altri al contrario con grandi rivelazioni di celati talenti.
James Franco, a detta di chi scrive, rientra in quest’ultima categoria. Regista impegnato, indipendente, sostenitore dei soggetti scomodi e controcorrente, amante (e studioso) della letteratura americana. Ed è proprio da quest’ultima che trae ancora una volta – il recente Child Of God proveniva dallo scrittore Cormac McCarthy – il suo ultimo lavoro da cineasta, As I Lay Dying, omonima opera di uno dei padri del romanzo statunitense, William Faulkner. La storia, dalla quale Franco non si allontana se non in termini strettamente strumentali, narra della famiglia di contadini Bundren, sperduta in una terra immaginaria del Mississippi agli albori degli anni Trenta. Alla morte della moglie Addie, il burbero e testardo capofamiglia Anse rispetta, con l’aiuto dei cinque figli, le volontà di sepoltura in terra natìa della donna: i sei sono quindi costretti ad intraprendere un viaggio che si protrae per nove giorni a causa di una violenta inondazione. Il tragitto risulta man mano più interiore che fisico, nonostante vi sia una perfetta coincidenza fra i due elementi, a partire dalla caratterizzazione dei cinque eredi: Cash, Darl (interpretato dallo stesso Franco), Jewel, Dewey Dell e Vardaman rappresentano rispettivamente il forte, il pazzo, il sensibile, la materna e l’innocente. Faulkner sguazza nella simbologia mitologica, distribuendo qua e là allegorie bibliche (il fiume, il fuoco, il pesce, il cavallo, il diluvio). Il tutto attraverso gli occhi cinici e disincantati della madre Bundren – presente in un monologo in stile rigor mortis – nella quale l’infelicità ha portato odio e disprezzo verso la propria famiglia. Ma l’attenzione, più che alla novella in sé, va alla trasposizione del cineasta di Palo Alto: Franco non tradisce nessun aspetto contenutistico del romanzo, e neppure quello stilistico, confermando una certa predilezione per la sperimentazione e per i toni teatrali, grazie ad un attento e minuzioso studio del linguaggio cinematografico. Il flusso di coscienza di matrice joyciana diventa un monologo in prima persona con sguardo in macchina; lo studio quasi ossessivo sulle azioni/reazioni dei personaggi si trasforma in un curatissimo split screen. Mentre Faulkner legge tutto in chiave tragicomica, Franco risulta più catastrofista, secondo cui l’unico sguardo “lucido” è quello di una sorta di profeta folle e alienato, Darl: “ci vogliono due persone per farti, e una per morire. È così che il mondo finirà.”
As I Lay Dying [id., USA 2013] REGIA James Franco.
CAST Danny McBride, Ahna O’Reilly, Tim Blake Nelson, James Franco, Jim Parrack.
SCENEGGIATURA James Franco, Matt Rager (dall’omonimo romanzo di William Faulkner). FOTOGRAFIA Christina Voros. MUSICHE Tim O’Keefe.
Drammatico, durata 110 minuti.