Trieste Film Festival, Trieste, 17-22 gennaio 2014
Alla (ri)scoperta del vecchio continente
In tv si sente accennare spesso a concetti come l’Europa a due velocità o al verificarsi di situazioni paradossali dove nazioni geograficamente sempre più coese sarebbero però pure sempre più giuridicamente ed economicamente distanti tra loro.
Una tematica evidentemente molto sentita anche nella dimensione cinematografica visto che nella XXV edizione del Trieste Film Festival sono ben due le opere in corsa per aggiudicarsi il premio della sezione dei documentari internazionali, ispirate alle potenzialità e alle profonde contraddizioni del Vecchio Continente, purtroppo ancora difficili da scalzare nonostante gli sforzi congiunti su più fronti. Se Mama Europa ci guida attraverso un viaggio nei Balcani dove immagini e racconti di gente comune stimolano e contemporaneamente tentano di rispondere ai pertinenti quesiti posti da Terra, l’arguta figlioletta della regista, facendoci riflettere su come, decenni dopo la messa in opera del comune progetto economico-politico, l’Europa sia riuscita a scalfire soltanto i confini artificiali ma non ad abbattere quelli meno visibili, Pipeline si spinge ancora più in là facendoci fare addirittura un viaggio nel tempo. E’ iniziato un nuovo millennio ma nei villaggi della steppa sembra che rispetto all’Ottocento nulla – o quasi – sia cambiato: sono ancora le stagioni e il clima rigido ad influenzare maggiormente lo stile di vita e la gente, costretta a vivere di pastorizia, non può nemmeno scegliere se andare a messa o meno perché non essendoci chiese nei paraggi devono attendere impazientemente lo sporadico arrivo di un vecchio vagone dismesso e adibito ad uso religioso per incontrare il prete. Ma, sottolinea Manskij, in città non va meglio visto che l’indigente popolazione anziana si consola ricordando nostalgicamente i tempi del regime sovietico quando, nonostante le contingenti difficoltà economiche, confessano che i partiti perlomeno organizzavano molti momenti conviviali. Seguendo il tracciato del gasdotto transiberiano che trasporta il prezioso combustibile blu dai remoti ghiacci di Urenguoy fino al mite clima dell’Europa occidentale, ci si rende conto di come questo portento dell’ingegneria, pur essendo riuscito a superare barriere fisiche come gli Urali, nulla ha potuto di fronte alle forti discrepanze economiche dei vari territori attraversati. Anzi, da iniziale chimera economica si è presto convertita dapprima in pomo della discordia durante la Guerra Fredda – forti furono infatti le perplessità statunitensi in merito all’ideazione di questa condotta energetica a esclusivo uso europeo – e poi proprio nello strumento che ha amplificato l’impoverimento di chi vive nelle vicinanze. La scultura dorata degli operai che presidia il giacimento, ci dicono in Pipeline, è stata voluta dai suoi scopritori per simboleggiare il salto collettivo di qualità in termini finanziari e sociali che sarebbe derivato dal gasdotto: un’effigie che invece oggi ricorda sarcasticamente tanto ai nomadi siberiani che prima abitavano quei luoghi quanto agli operai che l’hanno costruito che la precaria situazione patrimoniale non consente loro neanche il lusso di permettersi un’utenza di gas per riscaldare le abitazioni. Una forma di cinema antropologico che fa riflettere.
Mama Europa [id., Slovenia/Macedonia/Croazia 2013] REGIA Petra Seliškar.
CAST Terra Ferro Seliškar, Boris Pahor.
SCENEGGIATURA Petra Seliškar, Terra Ferro Seliškar. FOTOGRAFIA Brand Ferro. MUSICHE Vladimir Rakic.
Documentario, durata 90 minuti.
Pipeline [Truba, Russia/Repubblica Ceca/Germania 2013] REGIA Vitalij Manskij.
SCENEGGIATURA Vitalij Manskij. FOTOGRAFIA Aleksandra Ivanova.
Documentario, durata 121 minuti.