Incontro con Claudio Cupellini, Filippo Gravino e Guido Iuculano
Abbiamo incontrato Claudio Cupellini, Filippo Gravino e Guido Iuculano, regista e sceneggiatori di Una vita tranquilla, uno dei film in concorso per il Premio Internazionale alla Migliore Sceneggiatura.
Alla sua uscita, quale è stata la ricezione critica del film?
C.C. : Il film è stato recepito abbastanza bene, nelle recensioni meno positive è emerso un paragone con Le conseguenze dell’amore, sia per il tema trattato, sia per la presenza di Toni Servillo e il ruolo che ricopre. In realtà il personaggio di Titta di Girolamo è molto più rarefatto, mentre per Rosario Russo mi interessava indagare più profondamente l’emotività.
Paradossalmente all’estero è stato recepito meglio che in Italia, forse perchè l’attenzione si è concentrata di più sulla storia e il contesto malavitoso.
Avete trovato una distribuzione internazionale?
C.C.: Il film esce ad Agosto in Francia. Io sono un po’ preoccupato, ma mi dicono che lì d’estate si va molto al cinema… In Germania purtroppo la distribuzione della Beta non è stata soddisfacente, il film è stato un po’ lasciato a se stesso. Comunque nei festival come il Tribeca e il Marrakesh Film Festival è stato accolto con favore.
Già in fase di sceneggiatura pensavate a Servillo come interprete. Non vi è venuto il dubbio che potesse essere una scelta rischiosa vista la continuità con i ruoli precedenti dell’attore?
G.I.: No, perché in Una vita tranquilla il personaggio di Rosario Russo si discosta dalle altre interpretazioni di Servillo. Nei film di Sorrentino il personaggio è celato dietro una maschera imperscrutabile, qui invece la storia lo fa emergere gradualmente; diversamente dagli altri ruoli qui Servillo recita in modo realistico, non espressionista.
Rosario è un personaggio prigioniero del proprio passato. Questa caratterizzazione è una metafora voluta della situazione di oggi in Italia?
G.I.: Non è una cosa voluta, perché non si dovrebbe mai partire da un concetto simbolico nella stesura di una sceneggiatura. Ovviamente alla fine ogni interpretazione del senso del film è bene accetta.
La troupe che ha lavorato al film è piuttosto giovane. Come è nata la collaborazione tra voi?
C.C.: Eravamo tutti e tre al Centro Sperimentale, io stavo finendo quando loro sono arrivati; condividevamo gli stessi gusti e la stessa idea di cinema. Il soggetto di Francesco aveva vinto il Premio Solinas, ma stranamente nessuno sembrava interessato a produrlo. Lui e Guido stavano iniziando a lavorare come coppia di sceneggiatori. Dopo il discreto successo di Lezioni di cioccolato ho acquisito abbastanza credibilità per potermi finalmente dedicare insieme a loro a questo progetto. Il merito del film va comunque attribuito anche al montatore (Giuseppe Trepiccione, n.d.r.) e al direttore della fotografia (Gergely Pohàrnok, n.d.r.).
Una volta individuato il nucleo centrale della storia, come vi siete mossi per svilupparla?
F.G.: Ho passato molte estati in Germania, mio suocero ha un ristorante, quindi ho potuto osservare attentamente quell’ambiente e riportarne i dettagli nella sceneggiatura. L’idea del soggetto è nata da un fatto di cronaca: un articolo del 2002 sullo smaltimento illecito di rifiuti tra la Campania e la Germania, in anni in cui non era ancora scoppiata l’emergenza.
G.I.: Per il personaggio di Rosario ci siamo ispirati alla biografia di Bardellino.
F.G.: La cosa più difficile è inventare una storia da zero, è molto più efficace guardarsi intorno e prendere spunto dalla realtà.
Nicole Braida, Chiara Checcaglini, Valentina Di Giacomo