SPECIALE PAUL SCHRADER
Free the images?
Come esprimere il giudizio su un film? Osservandolo criticamente come una composizione tecnica, in cui i differenti livelli vengono presi nelle loro specificità per comprenderli poi in uno sguardo d’insieme? Probabile, però il senso stesso dell’opera risiede nel legare gli elementi così da essere sfaccettati nella loro diversità, uniformandoli allo stesso tempo; ed è proprio da questo che probabilmente il nostro gusto personale si libera da una griglia critica per percepire ciò che realmente c’interessa, sintetizzando così il nostro sentimento.
E se una pellicola fosse del tutto sbagliata? Nel momento in cui ogni singolo aspetto porta con sé imperfezioni che confondono lo sguardo d’insieme, si può parlare di un’opera omogenea nella sua disomogeneità? Forse le definizioni sono superflue quando realmente si cerca di comprendere qualcosa, e in questo caso The Canyons dev’essere liberato da qualsiasi incasellamento. Se lo osserviamo nella sua costruzione thrilling, appare ingenua la disposizione degli eventi nel quale ogni plot point viene trascinato dalla linearità di comportamento dei personaggi. La scrittura (di un Easton Ellis chiaramente a briglia sciolta vista la prolissità dei dialoghi) e la regia (aritmica, più attenta a una messa in quadro dell’ambiente che alla creazione di un vero contesto) seguono percorsi diversi, mentre la disposizione binaria del senso – in cui il parallelismo tra gelosie dentro un mondo hollywoodiano decadente viene contrapposto ai continui riferimenti di un universo cinematografico in abbandono – non problematizza mai il rapporto che s’instaura tra di essi ma anzi lo risalta accomunandolo nel medesimo pessimismo fatiscente. Tutto ciò non impedisce alla pellicola però di liberarsi da se stessa: lo sguardo in macchina conclusivo riesce comunque a imprimersi indipendentemente dalla costruzione precedente, e solo in quel momento forse percepiamo e proviamo quello che prima non eravamo riusciti a circoscrivere. Uno sguardo che rimanda al possesso, sorprendendoci nella sua prevedibilità: il possesso della persona dentro un gioco, sì di gelosie, ma anche nel mondo della proliferazione visiva, immagini ontologicamente riconosciute nella loro commercialità che s’impossessano di corpi decadenti. Lindsay Lohan è la carnalità fatiscente immersa dentro immagini che si disperdono tra la patina e la grana digitale. The Canyons si scopre, forse involontariamente, nella fascinazione significativa della propria enunciazione, rivelando la sua natura – come diceva qualcuno – di opera malata e unica nella propria imperfezione: alla fine forse proprio per questo non è possibile non farsela non piacere.
The Canyons [id., USA 2013] REGIA Paul Schrader.
CAST James Deen, Lindsay Lohan, Nolan Gerard Funk, Amanda Brooks, Gus Van Sant.
SCENEGGIATURA Bret Easton Ellis. FOTOGRAFIA John DeFazio. MUSICHE Brendan Canning.
Thriller/Erotico/Drammatico, durata 99 minuti.