SPECIALE ABDELLATIF KECHICHE
Gli occhi sono cannibali
Uno sguardo. Guardare, essere guardati. Sfruttare, essere sfruttati. Lo sappiamo bene, la visione presuppone violenza: diventato oggetto di sguardo ti senti lacerato, disturbato, divorato. Di fatto dopo che due occhi ti hanno scrutato, un po’ di te se ne va, un po’ del tuo corpo, dei tuoi gesti ti vengono rubati, diventando patrimonio di altri.
Lo sguardo è l’argomento su cui lavora Abdel Kechiche in Venere nera, storia vera di Saartjie Baartman/Yahim Torrès, detta Sarah, giovane donna di etnia khoi, portata a Londra da un uomo senza scrupoli e sfruttata come fenomeno da baraccone. La visione del film è una prova: quanta crudeltà possiamo sopportare? Siamo parte della platea “cannibale” o spettatori “anoressici” che rifiutano la visione depravata della nera preda in balìa dell’uomo bianco? Fin dall’incipit c’è il Corpo della “Venere ottentotta”: scheletro, vagina, cervello, da soppesare, misurare, analizzare, chiodo fisso di studiosi che sanno molto ma “comprendono” poco, − di rispetto e umanità. Studiata da viva, come poi lo sarà da morta, la donna accetta lo sguardo dei medici fino a quando si tratta di misurare cranio, natiche, addome, ma quando deve scoprire la sua pruriginosa anomalia si ribella. Il regista parte dall’esposizione per poi riavvolgere “il nastro” a quando Saartjie era “punta di diamante” dell’intrattenimento londinese: animale da ammaestrare, femmina toccata da vogliose mani, guardata con occhi cannibalici, desiderosi di conoscere le “virtù” della venus noir. Il martirio di Saartjie non è finito, a Parigi la donna si esibisce in salotti libertini: corpo molle su cui e con cui giocare, seno nudo, animale feminino a carponi, tenuto al guinzaglio, volto allucinato e attonito di una sfruttata e toccata. Violenza, schiavitù e erotismo si incatenano, ogni gesto porta al piacere, ogni sguardo è atto di prevaricazione, ogni spettacolo prova e sfianca ancor di più Sarah che procede lentamente e inesorabilmente nella sua via crucis. Ultimo stadio del degrado è l’entrata in un postribolo, in cui sguardi, mani, labbra si cibano del suo corpo, amplessi, più voraci e pieni, a tutto schermo. Kechiche, cineasta conosciuto per il suo realismo, confeziona un’opera − metafora del mondo dello spettacolo −, forse a volte troppo lunga e insistita tanto da diventare anch’essa calvario. Venere nera non ha paura di mostrare e mostrarsi, raccontando un personaggio femminile, duro, martirizzato e crocifisso dalla società e dallo spettacolo, senza diventare patetico.
Venere nera [Venus Noire, Francia/Italia/Belgio 2010] REGIA Abdellatif Kechiche.
CAST Yahim Torrès, Andre Jacobs, Olivier Gourmet, Jonathan Pienaar, Jean-Christophe Bouvet.
SCENEGGIATURA Abdellatif Kechiche, Ghalya Laroix. FOTOGRAFIA Lubomir Bakchev.
Drammatico, durata 166 minuti.