SPECIALE SOFIA COPPOLA
Insostenibile leggerezza dell’essere
Una cosa è certa. Nessun regista oggi esprime il vuoto esistenziale meglio di Sofia Coppola. Covato nel clima puritano de Il giardino delle vergini suicide, soffocato dai drappi rock-cocò dell’Ancièn Régime di Marie Antoinette, come dai grattacieli di vetro e acciaio di Lost in Translation, tra secoli ed epoche il tormento interiore assume forme diverse, presentandoci sempre lo stesso film.
Cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia, sembra recitare il motto. Facile, semplice, di garanzia. La direzione ripetitiva, la medesima intrapresa dall’ex fidanzato confinato a vita sul tema della vendetta − Tarantino − che ricordiamolo, a Venezia 67 la premiò con il Leone d’Oro in una sala assordata dai fischi, è ormai ciecamente avvitata su se stessa. In questo nuovo capitolo l’automobile di Somewhere continua la sua corsa spazio-temporale senza meta, posteggiando sul ciglio di un dirupo che ha appena cominciato a franare. Contrariamente infatti all’attore fallito consumato dai vizi dello showbiz, la gang di ragazzine griffate di Bling Ring si accosta ai primi eccitanti brividi di onnipotenza. Suola rossa di Laboutin, Neverfull in spalla, tutone fosforescente con tatoo sul coccige in mostra e mezzo chilo di accessori riflettenti, sono i simboli di una generazione cleptomane di identità, non fino in fondo colpevole, figlia più dei social che dei propri genitori distratti. A differenza però della critica apocalittica alla Spring Breakers, consacrata dal trionfo delle tre S (sesso, soldi e sangue), qui a regnare è unicamente il frigido desiderio di possesso. Pronipoti di sua maestà il denaro, vediamo le rich bitch in preda ad azioni robotiche, avvolte da un malessere per lo più inconscio, totalmente obnubilato dal flash degli scatti di Instagram e dal cambio d’abiti compulsivo corrispondente alla ricerca di una figura guida, che solo nei personaggi famosi risultano trovare. Forse, si può dedurre che sia proprio la mancanza di una dimensione di appartenenza a far sì che il matelassé di Chanel sostituisca persino il piacere fisico e anestetizzi le passioni umane. Oppure, è il solito estetico accumulo di oggetti, che la regista si diverte a riprendere in dinamica sequenza. Non lo sappiamo, perché finché si rigirano questioni indipendentemente dal contesto storico e non si scava a fondo dei principi scatenanti, il rischio è di incappare in un’analisi più inconsistente della superficialità rappresentata. Appesa a bei faccini monolitici, che mirano ad un orizzonte fuori campo.
Bling Ring [The Bling Ring, USA 2013] REGIA Sofia Coppola.
CAST Katie Chang, Israel Broussard, Emma Watson, Leslie Mann.
SCENEGGIATURA Sofia Coppola. FOTOGRAFIA Harris Savides, Christopher Blauvelt. MUSICHE Daniel Lopatin, Brian Reitzell.
Commedia/Drammatico, durata 87 minuti.