11 SETTEMBRE, COMPLEANNO BRIAN DE PALMA
Belle da morire
Della poetica di Brian De Palma, Vestito per uccidere raccoglie più di un’ossessione. Prima tra tutte quella per Hitchcock. Pulsione scopica e istinto omicida, chiome bionde, reali e posticce, alta tensione e docce letali: non manca niente del repertorio caro al maestro.
Incontinenza citazionista? Tutt’altro. Piuttosto il frutto di un discorso filmico che sulle citazioni fonda il proprio alfabeto, ma che non ha niente di casuale. Una precisa dissezione del cinema hitchcockiano, ricomposta in un dialogo costante, all’insegna dello scarto o della moltiplicazione. Una bionda – Angie Dickinson – muore quasi a metà film, un’altra – Nancy Allen, moglie novella del regista – rischia di fare la stessa fine. L’assassino? L’ennesima bionda, naturalmente. Se la trama non è poi così sorprendente (l’identità del killer si intuisce in breve) non è per difetto di suspense, quanto per subordinazione del plot al linguaggio cinematografico. Il film significa proprio in virtù del suo ingombrante rapporto interstestuale. Brian de Palma lo declina in sequenze di cinema allo stato puro – magistrale quella nel museo – e in virtuosismi stilistici eterogenei, compreso uno split screen in funzione depistante. Specchi e cornici prolificano a restituire una visione parziale o riflessa, rivelando la verità sui personaggi, ciascuno immerso in una realtà filtrata dalla propria solipsistica percezione. Se tutti questi elementi rendono Vestito per uccidere un film emblematico dello stile di De Palma, sarebbe ingiusto considerarlo soltanto in virtù della sua forma. Al momento della sua uscita, furono in molti ad indignarsi: i perbenisti per l’erotismo gratuito, la comunità gay per il ritratto disforico della transessualità, le femministe per la negatività dei personaggi femminili e i fan della Dickinson per l’uso di una modella di Penthouse al posto del nudo della star già cinquantenne. “Controverso” è l’aggettivo che inevitabilmente lo accompagna. Ma se violenza e sessualità sono i cardini tematici del film, il ritratto che De Palma restituisce della società contemporanea offre spunti di riflessione affatto banali. Uno tra tutti, l’ipocrisia della classe borghese, impaludata in ruoli di schizofrenico conformismo e fatalmente attratta dal rigetto delle convenzioni. Dallo psichiatra incapace di gestire il proprio inconscio (al solito, un magistrale Michael Caine) alla moglie insoddisfatta che anela avventure da fotoromanzo. E mentre la crisi della sessualità maschile passa attraverso un “voyeurismo acustico” non è da meno quella femminile, limitata al mestiere nel caso di Liz Blake e sublimata da Mrs. Miller in erotismo patinato, con tanto di avventura extraconiugale naufragata. Un quadro ironico e spietato dell’America di fine secolo, tappa centrale nella carriera del regista.
Vestito per uccidere [Dressed to Kill, USA 1980] REGIA Brian De Palma.
CAST Michael Caine, Angie Dickinson, Nancy Allen, Keith Gordon.
SCENEGGIATURA Brian De Palma. FOTOGRAFIA Ralf Bode. MUSICHE Pino Donaggio.
Thriller, durata 105 minuti.