SPECIALE 70a MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA
In difesa delle cause perse
Lui, lei, la loro bambina, e un’amante che spezza il cerchio. La jalousie comincia con un primo piano della donna abbandonata, ma prima del pianto c’è il tempo per un sorriso trattenuto, quasi come se l’attrice ancora attendesse l’azione del regista.
Philippe Garrel parrebbe dare a credere che il cinema dei sentimenti, nella sua innocenza e brevità, altro non sia che un gioco, una divertita nostalgia che astrae i personaggi dalla realtà e li pedina a confronto con il solo loro mondo interiore, dove gli slanci casti e un po’ svogliati dell’innamoramento danno il via a un susseguirsi di incontri, tenerezze, silenzi e seduzioni. Quella della rappresentazione giocosa, tuttavia, resta un’interpretazione parziale, perché il film si lega idealmente a un episodio autobiografico del regista, la storia cioè di suo padre Maurice che, attore di teatro, intorno ai trent’anni abbandonò compagna e figlio piccolo (Philippe, appunto) per andare a vivere con un’altra donna. Di fronte a questo cortocircuito cinema-vita La jalousie sembra allora raccontare sì di uomini e donne che amano e tradiscono, ma anche del rapporto tra padri, madri e figli, in un costante riproporsi di immagini familiari abbozzate e subito smarrite, nelle quali Garrel inscrive la propria ansia di riconciliazione verso la figura paterna. La gelosia cui allude il titolo non è soltanto il sentimento comunemente destinato agli amanti, ma una malinconia che tocca tutti, anche i bambini (una bravissima Olga Milshtein), una ferita impossibile da chiudere e proprio per questo preziosa, perché richiede di mettersi gli uni di fronte agli altri con riabilitante trasparenza, testimoni gli uni per gli altri della propria – fragile – umanità, senza alcuna censura. Per questo il film di Garrel, che fatalmente viene letto come una causa persa, un cinema in via d’estinzione, è tra i più lucidi nel raccontare la speranza dei sentimenti: lo fa costruendo un presente completamente depurato dall’attualità, che il bianco e nero di Willy Kurant radicalizza con coraggio e raffinatezza, e non temendo di indagare le zone d’ombra dell’illusione amorosa. Garrel ha sempre collocato all’ultimo piano di un palazzo, generalmente in cima a una faticosa rampa di scale, il luogo dei sogni e delle utopie: qui l’appartamento degli amanti è uno spazio stretto e insufficiente, scomodo proprio perché non si può vivere soltanto in due, perché non è possibile andare avanti con in testa la proiezione di un amore illimitato. Quel limite che occorre riconoscere all’amore sta nell’alterità uomo-donna e nel bisogno degli altri, specialmente dei figli, per guardare alle relazioni con acuto senso di mortalità, dunque di verità. Riconoscendo al cinema di non essere solo una divertita messinscena, ma l’espressione possibile dell’esistenza.
La jalousie [id., Francia 2013] REGIA Philippe Garrel.
CAST Louis Garrel, Anna Mouglalis, Olga Milshtein.
SCENEGGIATURA Philippe Garrel, Marc Cholodenko, Caroline Deruas-Garrel, Arlette Langmann. FOTOGRAFIA Willy Kurant. MUSICHE Jean-Louis Aubert.
Drammatico, durata 77 minuti.