Chi, come la sottoscritta, non si trova alla Mostra del Cinema di Venezia in questi giorni, si deve accontentare di respirare il clima festivaliero da casa, attraverso le opinioni dei recensori, attraverso le foto scattate sul red carpet e pubblicate ovunque, attraverso il bombardamento d’impressioni, emozioni, commenti depositati sui social network.
Sarebbe meglio frequentarli i festival che commentarli da lontano, ma anche questa pratica può dare un certo grado di appagamento dato che fino a quando non vedi qualcuno o qualcosa di persona, allora te li puoi immaginare proprio come li vorresti.
Le foto di Nicolas Cage, protagonista di Joe di David Gordon Green, con la barba lunga brizzolata, lo sguardo malinconico e quasi assonnato, mi fa pensare al suo Sailor Ripley (Cuore Selvaggio, 1990). Non potendo parlare del film di Green per ovvie ragioni, mi concedo il lusso di guardare le immagini di Cage/Joe in questi giorni (non il Cage sul tappeto rosso, quella è la persona, non il personaggio. Un’altra cosa) e di fantasticare su Sailor Ripley, invecchiato di un quarto di secolo. Forse è solo lo stato del Texas a unire i due personaggi ma è un gioco che non ha regole. E allora mi servo di queste poche righe per ricordare il protagonista del road movie di David Lynch che fa di una straordinaria giacca di pelle di serpente “il simbolo della sua individualità e la sua fede nella libertà personale” e si fa lanciare un microfono nella sala polverosa di un locale notturno per cantare alla sua fidanzata Lula (Laura Dern) “Love me” di Elvis. Scena, canzone e personaggio meritano di essere adorati all’infinito e vagheggiare sulla foto di Joe, immaginando un Sailor cinquantenne è irrazionalmente nonsense quanto gratificante!
Ps. Cuore Selvaggio ha vinto la Palma d’Oro a Cannes nel 1990 contro il parere dei giurati e solo per volontà dell’allora presidente Bernardo Bertolucci, magari questo ricordo è un buon segnale per il verdetto che attendiamo da lui nei prossimi giorni.