Sono qui tutto l’anno e mi esibisco al quarto stadio
Melanoma al quarto stadio, l’ultimo, un anno di aspettativa di vita al massimo. Questa è la diagnosi che ha ricevuto Cathy Jamison (Laura Linney) madre, moglie e insegnante di liceo perfettina e un po’ noiosa della provincia americana.
Non ne ha ancora parlato con nessuno, nemmeno con la sua famiglia, o meglio, ci ha provato ma il momento non era mai quello adatto. Cathy rifiuta la chemio, le farebbe guadagnare solo poco tempo, perderebbe i capelli che ha sempre amato alla follia ma soprattutto un sacco di persone dovrebbero assisterla e non è nel suo stile. Già, perché Cathy ha passato la sua vita a preoccuparsi prima di tutto degli altri e dei loro bisogni ma la scoperta della malattia le fa aprire gli occhi, cambiare prospettiva e atteggiamento verso le cose e le persone. Quella grande C diventa inaspettatamente l’iniziale di Carpe Diem e in lei emerge la voglia, l’esigenza di impiegare meglio il poco tempo rimasto. Non c’è più spazio per i convenevoli e le convenzioni, per Cathy è giunto finalmente il momento di prendersi il proprio spazio, essere se stessa, anche e soprattutto se questo significa apparire scomoda e diretta. Butta fuori di casa il marito infantile ed egoista (Oliver Platt) perché si rende conto di poter crescere un solo ragazzino alla volta e ha scelto il figlio viziato e dispettoso (Gabriel Basso), stringe amicizia con l’anziana vicina di casa scorbutica e misantropa (Phyllis Somerville), decide di aiutare una sua alunna infelice e arrabbiata con la vita perché obesa (Gabourey Sidibe), inizia ad accettare il fratello maggiore (John Benjamin Hickey), ecologista integralista che per vivere a impatto zero è diventato un senza tetto. In poche parole Cathy, per la prima volta, assapora la libertà, diventa LEI quella che sporca il divano con il vino e compie gesti inaspettati e imprevedibili. Riuscire a ironizzare e divertire affrontando un argomento delicato e doloroso come il cancro, quella grande C con cui tutti noi, almeno una volta, siamo venuti a contatto direttamente o indirettamente, è la sfida alla base della serie targata Showtime, di cui è da poco iniziata la messa in onda su Sky, canale Fox Life. Una sfida che si può dire ampiamente vinta, soprattutto grazie a una scrittura brillante e acuta, una qualità tecnica di alto livello e un cast superlativo capitanato da Laura Linney, anche produttrice esecutiva della serie, che proprio per questo ruolo ha vinto un Golden Globe. The Big C fa piazza pulita del pietismo, gli stereotipi, il buonismo e i tabù che circondano il tema della malattia, in particolare il cancro, scegliendo giustamente la via della tragicommedia. “Death Comedy”, come dice Cathy nel monologo che chiude l’episodio pilota diretto da Bill Condon (Demoni e Dei, Kinsey, Dreamgirls, The Twilight Saga: Breaking Down parte 1 e 2). Un monologo che suona come una vera e propria dichiarazione di intenti, che spiega e anticipa allo spettatore quale sarà la poetica della serie. “Ti avverto, queste risate potrebbero diventare un singhiozzo in un secondo” ed è davvero così, dopo aver riso per circa 30 minuti arriva, in punta di piedi, il momento della commozione, sincera e delicata, perché in fondo anche se si scherza, si ride e si sdrammatizza sempre di malattia, di vita e di morte si sta parlando.
The Big C [id., USA, 2010] IDEATORI Darlene Hunt.
CAST Laura Linney, Oliver Platt, Gabriel Basso, Phyllis Somerville, Gabourey Sidibe, John Benjamin Hickey.
Dramedy, durata 30 minuti (episodio), stagioni 1.