SPECIALE AUTORI VENEZIA 70
Sogna, ragazzo sogna
È un cinema del profondo sentire declinato in tutte le sue espressioni più calde, tormentate e “patetiche” quello di Bernardo Bertolucci, presente alla 70a Mostra del Cinema di Venezia in qualità di Presidente di giuria. La sua è un’opera scandalosa, intellettuale, autoriale, che in virtù del background culturale, della fede politica, dell’assenza di credo religioso non ha paura di raccontarsi.
Sviscera erotismo – violento, estremo (Ultimo tango a Parigi) e incestuoso (La luna) –, crisi – quella morale e sociale (Prima della rivoluzione), di chi si affaccia al mondo (The Dreamers), quella di chi, attore di un’esistenza sbagliata, deve vendicarsi di qualcosa (Il conformista) –, morte (La commare secca, Il tè nel deserto), “mancanze” – del padre (Io ballo da sola), di una guida, di sé. Bertolucci è pronto a perlustrare ogni centimetro di carne, ogni pensiero nella testa, pronto a ricercare il piacere nel volto e nel corpo dei suoi attori. L’unico in grado di indagare le bandiere rosse con spirito noir, di descrivere l’impeto della rivoluzione prima che essa avvenga, analizzando attraverso le storie dei singoli tanto il comunismo (in Italia, in Francia, in Cina) quanto il fascismo, mettendo al centro gli ultimi e i primi, i borghesi e i proletari, squassando lo spettatore con singhiozzi e spasmi di pietà e nausea. Spesso i suoi protagonisti sono soli, disperati, in balia di loro stessi e degli eventi, in attesa o alla ricerca di qualcosa, in partenza o appena arrivati. Al centro ci sono i corpi, “pianeti” che vagano, si contorcono, si tormentano, ma anche oggetti desideranti che si intrecciano e avviluppano l’uno all’altro. Si desiderano Maria Schneider e Marlon Brando, in Ultimo tango a Parigi, sconosciuti, che consumano e si consumano rotolando in uno sconsolato orgasmo di solitudine e disperazione. Rinchiusi in un vuoto e minimale appartamento – tema caro all’autore – l’uomo e la donna si possiedono, si odiano, urlando e “vomitandosi” addosso tutto il disagio e il mal di vivere. In un altro appartamento, in The Dreamers, i fratelli Isabelle e Théo, legati da un rapporto inscindibile, figli della borghesia francese, si toccano, si vogliono, si amano. I due portano nel loro mondo, fatto di cinefilia e erotismo, l’americano Matthew, che resta affascinato e imprigionato tra sesso e cinema. In Io e te ci sono altri due giovani, Lorenzo e Olivia, che si rinchiudono in un piccolo “paradiso”, un utero-prigione, in cui ci si racconta paure, solitudini, speranze. Bertolucci, costretto a causa della malattia all’immobilità, mette in scena un’altra volta la claustrofilia (l’amore per i luoghi chiusi in cui ci si rifugia, ma dove anche si trova ispirazione), l’“appartamento”, nel senso dell’appartarsi, del tagliarsi fuori dal mondo per trovare il proprio posto. Bertolucci è un cineasta atipico e affascinante, al di là dello scandalo, oltre al dogmatismo, che ci consegna un’opera filtrata attraverso la psicanalisi, la dottrina marxista, la musica di Verdi, la Nouvelle Vague e il cinema hollywoodiano. Sulle note di una danza (fondamentale in Bertolucci è la musica) erotica e col pugno alzato, “ambigua” ed esistenziale, indaga il dentro, tramutandolo in fuori, esplora l’intimo, facendo emergere le voglie più nascoste, tirando fuori l’io più profondo che, una volta venuto alla luce, spesso, si dimostra estraneo a se stesso.