Per i profani, lo studio del cinema nell’università è qualcosa di estremamente vago. Le maestre di scuola elementare di mia figlia, per esempio, non riescono a capire perché io non sappia o non possa fare un laboratorio di ripresa video, tecnica della fotografia e sceneggiatura con i bambini della classe.
Sono o non sono uno docente di cinema? In effetti, da un po’ di tempo, quando mi chiedono che cosa insegno, invece del tradizionale “Storia del cinema” (materia nella quale sono incardinato), rispondo con la seconda materia della mia attività didattica, ovvero “Critica e giornalismo cinematografico”. Appena l’interlocutore capisce l’aggancio professionale del corso, tutto diventa più semplice, e anche la mia dubbia utilità nei confronti del mondo appare meno sospetta. Il mio barbiere, invece, mi lusinga chiamandomi “professore, sì professore, certo professore, ha ragione professore, che tempi professore…”, ma poi – presentandomi a un cliente in attesa – gli ha detto testualmente: “Questo è il professor Menarini, si occupa di film…insomma, ha una cultura a parte!”.
Che cosa è una cultura a parte? Una cultura che non serve? Una cultura che non esiste nella realtà? Una cultura carbonara? Una cultura di nicchia? Potremmo sorridere della maestra e del parrucchiere, ma sarebbe sbagliato. Disinformazione a parte, dovremmo continuare a chiederci che cosa trasmettiamo quando facciamo ricerca sul cinema. Certo, l’argomento è accademico ma – visto che se ne sta parlando spesso in numerosi convegni e con colleghi molto preoccupati del declino dei Dams – vale la pena cominciare a rilanciarlo pubblicamente. Se, come pare, tutte le humanities sono in crisi perché non hanno chiaro l’oggetto sul quale si dovranno esercitare di qui in poi, per i cosiddetti film studies la questione è ancor più spinosa. Da una parte ci sono i new media, per studiare i quali però le competenze filmologiche sono ampiamente insufficienti. Dall’altra il cinema, la televisione e la fotografia, sulla cui storia è stato detto molto (forse tutto), e che vanno studiati nelle loro trasformazioni, ostiche da interpretare.
Il rischio è che una materia troppo giovane si trovi a diventare invecchiata repentinamente senza aver trovato un vasto periodo di maturità. Troppo pessimismo? Parliamone. Non è certo per il prestigio sociale di quartiere che molti di noi lavorano.