Anita, il naufragar è dolce…
Ha la fluidità delle opere scritte sull’acqua e la consistenza del sogno, Anita. Allo stesso modo l’aveva già intimamente immaginata Luca Magi, ancor prima di avere chiara l’idea di ciò che il progetto sarebbe diventato. La realizzazione di un sogno ancora irrealizzato, un progetto mai concluso da Federico Fellini cui Magi decide di dare forma in maniera del tutto personale. Un film profondamente connesso all’elemento dell’acqua, all’origine della vita, al legame con il materno.
Grazie alla mediazione di Simone Venturini, la penultima giornata del XXXII Premio Sergio Amidei è dedicata ai laboratori La Camera Ottica, CREA, Kinè e Home Movies, che hanno collaborato nella realizzazione di Anita, e più in generale alla riflessione sul lavoro di restauro e riuso dei materiali d’archivio nel cinema italiano. Dopo la proiezione del film, incontriamo, insieme al regista, la squadra che ha preso parte al progetto: Antonio Bigini, Claudio Giapponesi e Alessandro Carroli, che ci raccontano del profondo lavoro di ricerca tecnica e tematica sviluppato attorno ad alcuni elementi fondamentali, quali ad esempio l’idea del tempo, il rapporto tra materia e memoria, tra realtà e archivio. Repertorio di immagini, quello dell’associazione Home Movies di Bologna/Archivio Nazionale del Film di Famiglia, inteso non solo come possibile modalità di raffigurazione, ma piuttosto come segreto bacino di raccolta, custodia e conservazione dei ricordi, in particolare quelli dei personaggi inseriti nella storia. Magma di memorie al quale Magi accede in maniera del tutto personale, trovando, oracolarmente, le analogie che cercava.
Il risultato è un documentario insolito che, consapevole dell’importante eredità felliniana – il testo di base è Viaggio con Anita, scritto da Fellini nel 1957 assieme a Tullio Pinelli –, non teme di chiamare a raccolta temi mitici e ancestrali attuando un’operazione solitamente non associata al cinema documentaristico, lasciando infine affiorare l’idea-guida di Magi: l’ urgente bisogno di un ritorno alle origini. L’immagine della spugna di mare, a sottolineare il dinamismo che percorre l’opera, in quanto corpo che tanto ritiene quanto rilascia; la consistenza mitica dei personaggi del racconto, in particolare la presenza/ombra del maestro riminese che pur non apparendo sullo schermo permea questo lavoro; la dimensione onirica di alcune immagini che ci appaiono quasi fossili; e, più in generale, la graduale trasfigurazione di un mondo nella cui “catena degli esseri” l’uomo non occupa che l’ ultimo posto. Necessità, quella del ritorno alle origini, avvertita anche da un punto di vista tecnico come nuova possibilità di racconto e di incontro tra le immagini di archivio e le odierne immagini in alta definizione. Ipotesi audace, che spinge gli autori a parlare persino di un possibile abbandono del digitale contemporaneo. Dolce naufragio Anita in quel potenziale, infinito repertorio di suoni, immagini, parole.