Un crocevia impossibile
Uno dei film vincitori dell’Audience Award al Biografilm Festival 2011 è 12th & Delaware, di Heidi Ewing e Rachel Grady.
Dopo Jesus Camp le due documentariste continuano ad esplorare con obiettività le contraddizioni dell’incidenza della religione nella vita dei cittadini statunitensi. All’incrocio tra la 12th e la Delaware di Fort Pierce, Florida, si fronteggiano una clinica per aborti diretta dai coniugi Dye e un Centro per la Maternità di estrazione cattolica. Non si scontrano solo due punti di vista, ma due concezioni del mondo irriducibili l’una all’altra, personificate nelle due donne che portano avanti le strutture, Candace Dye e Anne Lotierzo. Nell’opinione degli attivisti Pro-Life, la possibilità di scelta (Pro-Choice), portata avanti da strutture come quella dei Dye, equivale a sposare un’opzione assassina: la Morte non può che essere l’alternativa al valore della Vita di cui essi si fanno latori.
Stando a quanto affermato dalle stesse registe, il montaggio segue l’ordine cronologico delle riprese: la prima parte è situata intorno e all’interno del Pregnancy Care Center, mentre la clinica per aborti è solo una casa blindata dal cui garage entra ed esce una rombante Mustang gialla con cui Arnold, marito di Candace, scorta i medici abortisti dentro e fuori dalla sala operatoria. Proprio il garage fa da connettore tra le due parti quando, ad un certo momento del film, il punto di vista si sposta all’interno della clinica abortista.
Lo sguardo che si posa sui due territori arriva fin nell’intimità dei colloqui con le pazienti, eppure rimane discreto e il più possibile imparziale: sono i fatti, le parole, i comportamenti a fornire gli strumenti per prendere posizione e a comunicare un’impressione piuttosto che un’altra. Inevitabilmente l’attivismo Pro-Life appare fondato su una pericolosa e ottusa distorsione della realtà. D’altra parte le scelte linguistiche non possono mai essere totalmente super partes: all’inizio ad esempio non è chiaro in quale dei due centri si svolga il lavoro di Anne, così lo spettatore si trova a condividere il disorientamento delle pazienti che, confuse dall’insegna Pregnancy Care Center, sbagliano letteralmente edificio ed entrano nel centro Pro-Life; qui, solo dopo un’ecografia gratuita e un colloquio fatto apposta per instillare dubbi e paure viene loro rivelato che la clinica che cercano è dall’altra parte della strada. L’atteggiamento di Candace, rispettoso dell’individualità di ogni ragazza, fa da contraltare agli inquietanti atteggiamenti degli attivisti cattolici: dai macabri manifesti alla diffusione di informazioni mediche assolutamente false, dalle promesse di aiuti economici alle odiose bugie sulla progressione delle gravidanze, ogni mezzo è lecito per convincere le donne, spesso giovani e provenienti da situazioni di disagio, a non abortire. Il tutto riassunto sotto l’agghiacciante rifiuto del riconoscimento dei diritti delle donne sul proprio corpo, come candidamente affermato dal militante più estremista. Alla fine non si tratta più di due concezioni del mondo, ma di una precisa scelta di violenza e perpetrazione dell’ignoranza a fronte di una professione, magari discutibile ma senz’altro più onesta.
Dietro ad una descrizione così localizzata, emerge la problematica questione della sanità statunitense, spesso inadatta ad incontrare le esigenze dei cittadini in generale e di alcune categorie più a rischio in particolare, che finiscono per essere facilmente ricattabili e condizionabili.