Cinema è vita
Parlare di Tonino De Bernardi significa, in primo luogo, parlare di un cinema astorico, estremamente personale, assente da ogni ossessivo richiamo modernista alla citazione.
Un cinema puro (mi si passi il termine un po’ ingiustificato), orgogliosamente indipendente, orgogliosamente avulso da qualsiasi anelito alla cattura ricattatoria del pubblico. Passato per circuiti underground tra i più più vivi e intransigenti, De Bernardi ha un concetto molto chiaro di indipendenza: si tratta, letteralmente, di non dipendere da alcunché, di abolire tassativamente la parola “pubblico” dal proprio vocabolario. Girati con pochissimi soldi, film come Piccoli Orrori, Appassionate, Casa dolce casa o Cronache del sentimento e del sogno e Silenzio e urlo, si avvalgono di una troupe e di un cast formati da amici (tra cui figurano Iaia Forte, Filippo Timi e la “musa” Isabelle Huppert) e familiari rigorosamente non retribuiti. Persone, dunque, che si fanno naturale espressione dell’esistenza del regista. In effetti è difficile pensare ad opere altrettanto trasparenti, altrettanto ancorate ad una vita che si manifesta, ancora una volta, quale oggetto evidente della propria arte. Fautore di un autobiografismo intelligente nella propria consapevole incertezza, Tonino De Bernardi non può che dire continuamente “io”, in una continua riscoperta di un cinema pensato come costante ragionamento sul proprio essere nel mondo. E’ un Passato presente, dunque, l’opera di De Bernardi. Un passato inesorabilmente legato a quell’ontologica caducità dell’esistenza che l’immagine allo schermo malignamente ci ricorda. Un presente che, allo stesso modo, rende diversa ogni esperienza di revisione del passato. Per questi motivi, il Premio Amidei ha scelto di organizzare la retrospettiva evitando ogni cronologia e optando, invece, per l’accostamento di film temporalmente lontani tra loro. Ne viene fuori una filmografia sterminata, vastissima, disordinata. Ma dotata di una coerenza e di una consapevolezza estetica fuori dal comune.