Il cinefilo gentiluomo
Vieri Razzini rappresenta uno dei grandi rimpianti della mia generazione. Nati maledettamente in ritardo rispetto agli anni d’oro dell’etere nostrano e, tra le altre cose, rispetto alle affascinanti elucubrazioni serali del suddetto critico su Rai3, non si può far altro che ricorrere a uno dei pochi strumenti di conoscenza audiovisiva storica rimasti: il web, ove Youtube fa da padrone.
La XXXII edizione del Premio Sergio Amidei ha introdotto quest’anno una nuova sezione, il “Premio alla Cultura Cinematografica”, destinato a coloro che in varie modalità hanno trasmesso il sapere e l’amore per l’enorme patrimonio cinematografico internazionale. Un premio generalmente desueto nel panorama italiano, a maggior ragione in un contesto in cui la trasmissione di sapere viene costantemente selezionata, controllata, soprattutto emarginata. Pare quasi impossibile pensare che già nei gloriosi anni ‘80 questo fenomeno rivelasse qualche anticipazione. Razzini ci racconta, durante l’incontro con il pubblico del Festival, dei margini entro i quali si trovava a operare, in particolare nell’ambito del suo apporto più brillante e fondamentale nonché estremamente delicato: quello di (ri)scoperta di pellicole e cineasti sconosciuti ai più. Il “mood” aziendale rimbalzava tra una generale (forse ingenua) superficialità verso il suo lavoro (“Non gliene fregava granché a nessuno”) e una sorta di ansia nei confronti delle sfide più rischiose, nel senso di poter non essere comprese da un pubblico estremamente variegato, il quale, però, ne ha sempre premiato le fatiche. Il ruolo da lui intrapreso nell’ambito della programmazione televisiva fa quasi pensare a una sorta di “archeologo del cinema”: esattamente come gli storici scovano un’opera preziosa, se ne prendono cura e la portano a conoscenza del pubblico in un ambiente espositivo quale può essere un museo, nella stessa maniera il critico scova i nomi più astrusi e, tramite illuminanti spiegazioni nel contesto espositivo per eccellenza, la tv, dava loro il benvenuto nelle case italiane, contribuendo a formare la generazione di futuri cinefili. La Teodora Film, casa di distribuzione da lui creata, si è fatta carico di questa filosofia, trasformandola in grande formato e selezionando le opere con minuziosità e fiducia. Perché è proprio sulla fiducia che lesina la cultura nazionale.