Né moglie, né madre, ma Alicia
Quando una stagione è composta da 22 episodi può capitare che si verifichino alti e bassi, storyline discontinue, momenti di stanca e scelte irrimediabilmente sbagliate.
Il punto è che se è vero che uno dei punti di forza di The Good Wife sono i personaggi, è anche vero che lo sono nelle loro varie specificità: Alicia ovviamente, ma anche Diane, Will, Peter sono splendidi nelle loro ambiguità e sfaccettature; i giudici strampalati, gli avvocati rivali (le guest star, insomma) funzionano come perfetti comprimari; personaggi come Eli Gold (non a caso a sua volta protagonista di storyline personali poco soddisfacenti) e Kalinda danno il meglio di sé quando primeggiano sul proprio camp da gioco. L’errore della stagione 4, è stato fornire al mistero che circondava Kalinda la forma di un banale marito violento, delinquente e stalker incapace di sostenere, complice anche una scelta di casting poco azzeccata (Marc Warren), il necessario carico di tensione. La buona notizia è che, archiviata in qualche modo la questione (è uno dei casi in cui persino i creatori si sono resi conto dell’errore) in 4×10, Battle of the Proxies, lo show torna su binari a lui più consoni, riportando in primo piano Alicia e il lavoro da un lato (la parabola della Lockhart & Gardner, prima sull’orlo della bancarotta poi nuovamente in prima linea più rampante che mai, tra la promozione di Alicia, i comprensibili sotterfugi di Cary e la carriera di Diane) e il plot politico dall’altro (la corsa di Peter a governatore, accidentata prima dall’insidiosa rivale interna Maddie Hayward/Maura Tierney, poi dal rivale repubblicano Kristeva/Matthew Perry). Alicia è ormai in grado di passare con glaciale disinvoltura dalla malleabilità dell’etica sul lavoro al ruolo di supporter e consigliera di Peter, emancipata dalle maglie tradizionali del matrimonio -almeno finché il nuovo corteggiamento del marito si fa più serio. In più occasioni i plot orizzontali eclissano quelli verticali dei singoli casi giudiziari: tra episodi davvero poco memorabili (come 4×05, Waiting for the Knock, che torna sul signore della droga Lemond Bishop con tutto ciò che comporta in termini di non-empatia del personaggio, o 4×07, Anatomy of a Joke con una malutilizzata Christina Ricci) e casi molto divertenti (4×12, Je Ne Sais What?) spiccano, in misura minore rispetto ad altre stagioni, riflessioni attuali su copyright e Web (4×03, Two Girls, One Code), sull’incidenza dell’azione di Anonymous (4×20, Rape: a Modern Perspective), sulla violenza sulle donne (ancora 4×20, e 4×06, The Art of War, che introduce il personagio interpretato da Amanda Peet), sull’aggiornamento dello status del matrimonio (4×09, A Defense of Marriage). Per il rush finale sono convocate tutte le guest star più amate: dal sempre spassoso Colin Sweeney/Dylan Baker alla finta ingenua Nancy Coroizer/Mamie Gummer, da Kurt McVeigh/Gary Cole a Owen Cavenaugh/Dallas Roberts; fino al giudice Abernathy di Denis O’Hare e Patti Nayholm/Martha Plimpton nell’ultimo episodio al cardiopalma, What’s in the Box?, che lascia sbalorditi per la capacità di macinare tutte le storyline (quella politica, quella lavorativa, quella sentimentale) in un crescendo di domande e rese dei conti fino a una scena finale che rimescola ancora le carte e prepara a una quinta stagione dove tutto sarà rimesso in discussione. E così, dopo quattro stagioni, The Good Wife si conferma il meglio che la tv broadcast USA ha da offrire.
The Good Wife [id., USA 2013] IDEATORI Robert e Michelle King.
CAST Julianna Margulies, Josh Charles, Chris Noth, Christine Baranski, Matt Czuchry, Archie Panjabi.
Legal drama, durata 45 minuti (episodio), stagioni 4.