Il ritorno sfavillante di un mito
Pensando alle peculiarità dei Queen i primi elementi che individueremo saranno probabilmente la creatività, il glam e la ricercatezza con cui fin dagli esordi intrisero il loro stupefacente, variegato repertorio.
Ma ciò che contribuì a distinguerli dagli altri artisti fu la tenace convinzione che le note e i versi andassero sinergicamente valorizzati con le immagini. Un’antesignana missione compiuta già nel 1975 con il videoclip di Bohemian Rhapsody che inaugurerà la prolifica tradizione di ideare ad hoc simili opere per meglio promuovere i brani. Nel corso degli anni hanno collezionato ogni sorta di record e basterebbe solo citare i retroscena tecnici del concerto al Népstadion (80.000 spettatori e un palco così grande che richiedette 15 TIR per essere trasportato) per comprendere la portata dell’evento. Se poi si rammenta che furono i primi artisti occidentali a esibirsi oltre la cortina di ferro prima della caduta del Muro di Berlino (l’ultimo fu Armstrong nel ’64) e che il governo ungherese li accolse così entusiasticamente da accordare il permesso di navigare in aliscafo il Danubio per giungere trionfalmente a Budapest (prima di loro concesso solo al capo di stato russo), allora l’impresa assume connotati leggendari. Il titolo dell’opera si ispira meritatamente a uno dei loro brani più noti, contraddistinto da un mix di reminiscenze operistiche e contrappunti vocali talmente ambiziosi da richiedere ben nove giorni di registrazione. La superba alchimia artistica, spesso erroneamente tacciata d’essere eccessiva e pretenziosa, a distanza di decenni è ancora assolutamente geniale e camaleontica proprio come il loro inimitabile e ineguagliato frontman. La recente riedizione della performance di Budapest stupirà tutti perché riporta alla luce dei peculiari arrangiamenti dei brani (una piccola sfida per i fan più accaniti che possono tentare di individuare le differenze con il famoso Live at Wembley), un Mercury in evidente stato di grazia che conquista definitivamente l’intero Népstadion quando intona con la sua vibrante e ammaliante voce una canzone tradizionale ungherese e anche tanti fuori scena della band in atteggiamenti estremamente autoironici. Al di là degli osannati brani di stampo anthemico che risuonano ancora nelle manifestazioni sportive, la discografia dei Queen racchiude molto più che un semplice susseguirsi di accordi e ritornelli orecchiabili. E nonostante Freddie in uno dei suoi solo album cantasse “I’m just a singer with a song, how can I try to right the wrong” l’immutato affetto dei fan e il successo del Live Aid di Geldolf, reso possibile proprio dalla loro partecipazione, dimostrano che la musica dei Queen – citando letteralmente un loro hit – è una specie di magia che non passa mai di moda.
Hungarian Rhapsody – Queen Live in Budapest ’86 [Varázslat – Queen budapesten, Ungheria/USA 1987] REGIA János Zsombolyai.
CAST Freddie Mercury, John Deacon, Brian May, Roger Taylor.
FOTOGRAFIA Elemér Ragályi. MUSICHE Queen.
Concerto musicale, durata 92 minuti.