A PROPOSITO DI GABRIELE SALVATORES…
Il fantasma e l’uomo nero
Ci vuole coraggio per essere bambini. Ce ne vuole perché essere piccoli non significa trovarsi al sicuro. Michele Amitrano questo lo sa. Conosce i pericoli dei suoi dieci anni e accetta le sfide senza sottrarsi. Ma quando scopre un bambino spettrale, abbandonato in una buca del terreno, questo no, non riesce a capirlo. Con Io non ho paura Gabriele Salvatores porta sullo schermo l’omonimo romanzo di Niccolò Ammanniti.
Dopo la vena sperimentale di Nirvana, seguita anche in Denti e in Amnèsia, il regista si concede il ritorno a un equilibrio che gli varrà una nomination all’Oscar e un David di Donatello. La Basilicata vissuta da Michele è una distesa vibrante di spighe tra l’immobile indolenza delle masserie. La presenza del piccolo Filippo, ostaggio incongruo del paesaggio, irrompe come un pallido rimosso, elemento umido e sotterraneo nel quieto nitore della canicola estiva. Nel progredire del loro rapporto si compie il passaggio tra l’infanzia inconsapevole e un’inattesa maturità. Ma anche l’evolversi, in Michele, di una diversa percezione di sé, di pari passo con lo sgretolarsi dell’eroismo attribuito al padre. Un percorso che Salvatores tratteggia abilmente, accentuando i contrasti tra una superficie ora radiosa, ora accecante e una profondità sempre meno imperscrutabile. La capacità di saper vedere è continuamente chiamata in causa, dagli occhiali della sorellina, prima rotti e poi persi, alla temporanea cecità di Filippo. Senza contare la tensione insistita verso il fuori campo, lo spiare tra pertugi e cancelli, la parziale visibilità delineata dalle zone d’ombra. Elementi che concorrono a costruire l’aderenza sensibile ad un mondo bambino, con il mistero della vita adulta che occhieggia proibito da una porta socchiusa o si dipana in un pianosequenza. Ma non c’è niente di manicheo nella scissione tra grandi e piccini. Se i primi tramano atrocità ai comandi di un uomo nero, gli altri dimostrano già in nuce certi accenti di meschinità, non meno crudele per quanto acerba. E’ piuttosto la dimensione di fiaba a restituire un immaginario infantile. Michele affronta la realtà sovrapponendo a ciò che vive una versione fittizia, figurandosi come un eroe e innalzando come preghiera una filastrocca tratta da Shakespeare. Filippo, d’altro canto, preferisce credersi morto piuttosto che ammettere un abbandono. Salvatores ne immerge le fantasie nel torpore del crepuscolo, avvalendosi della fotografia di Italo Petriccione e delle musiche di Ezio Bosso e Pepo Scherman. Il risultato è un film suggestivo, ritratto avvincente di un mondo fantastico popolato da mostri reali.
Io non ho paura [I’m Not Scared, Italia/Spagna/Regno Unito, 2003] REGIA Gabriele Salvatores.
CAST Diego Abatantuono, Dino Abbrescia, Aitana Sánchez-Gijón, Giuseppe Cristiano.
SCENEGGIATURA Niccolò Ammanniti, Francesca Marciano. FOTOGRAFIA Italo Petriccione. MUSICHE Ezio Bosso, Pepo Scherman.
Drammatico, durata 108 minuti.