L’editoriale non si intitola “Facebook e la critica” ma “Facebook e i critici”, tanto per mettere le mani avanti: troppo complesso e tuttora sotto analisi il rapporto profondo tra scrittura critica e social network. Meglio accontentarsi di due note semiserie intorno al comportamento dei critici sulla piattaforma più celebre del pianeta.
Il sottoscritto raramente recensisce i film su Facebook, per il semplice fatto che ben presto si comincia una sfiancante diatriba con chi commenta e – non riuscendo a fare a meno di rispondere (visto che in fondo si sta su FB proprio per condividere apertamente discorsi e testi) – il tempo e le energie che si perdono sono enormi. Al contrario, molti colleghi (legittimamente, s’intende) estendono la propria militanza anche al social, e portano avanti confronti non di rado furiosi con colleghi e lettori. Non mi riferisco, in questo caso, al mettere in vetrina articoli o saggi presenti su altri siti, come si suole fare, pratica che mi pare meno dispendiosa. Cito, al contrario, l’uso di FB come moltiplicatore della propria opinione.
Ecco, su questo punto vale la pena proseguire l’analisi. La maggior parte delle opinioni, infatti, non è “il film di Tarantino è bellissimo” o “bruttissimo” – per fare un esempio – ma “a chiunque piaccia/non piaccia Tarantino, va data una lezione di cinema”; oppure “se ami Flight non puoi apprezzare Lincoln”; oppure “se non capisci Amour, non capisci il cinema”; oppure “il film è piaciuto a Mollica, dunque è ridicolo che piaccia ad altri…”, e così via. È un atteggiamento, a parere di chi scrive, incomprensibile. Un collega ha persino scritto sulla mia pagina FB indignandosi perché una collaboratrice di Mediacritica ha inserito Ciliegine tra i film preferiti del 2012, accompagnando la lamentela con una scomunica. Financo le classifiche – il massimo del gioco, e dell’idea ludica di critica – sono oggetto di isterie. E non si tratta di comuni spettatori che hanno tutto il diritto di dire la loro, ma appunto di critici, impegnati nel creare disperate correnti di pensiero che poi si dissolvono rapidamente.
Mai come oggi, infatti, è scomparsa l’idea che esista un cinema da difendere contro un altro cinema, da sconfiggere. Questa scimmiottatura postuma delle lotte di decenni orsono rende semplicemente inaffidabili e pittoreschi i critici. Perché non limitarsi, anche sui social media, a dire quel che si pensa? Perché non preoccuparsi di proporre un’interpretazione, una lettura, persino una dichiarazioni d’amore, o di odio, verso i film, senza tuttavia accettare supini il mi piace/non mi piace? Tanto, ormai, dell’apprezzamento del singolo critico non interessa niente a nessuno. E le polemiche nascono e muoiono all’interno di un circolo virtuale, sì, ma terribilmente asfittico.