Un cinema che non vuole pensieri
Cosa penseranno di Django Unchained i critici contenutisti e ideologici che hanno considerato Bastardi senza gloria il film migliore di Tarantino, solo perché nella sequenza della strage dei nazisti al cinema sembrava palesarsi l’apparente ambizione di voler piegare il cinema e la violenza allo scopo, progressista e politicamente corretto, di cambiare il corso della Storia e quindi del mondo? Evviva, pensavano gli ingenui, Tarantino è finalmente diventato un regista impegnato e militante.
Django Unchained è sì la vicenda di un’icona nera di “coolness” che vince la sua battaglia (politica?) contro tutti i suoi nemici – come Obama l’eletto? – ma Tarantino non vuole riscrivere la storia tragica della schiavitù dei neri negli Stati Uniti, dandole un lieto fine. Non è mica Spielberg. Ci piace pensare, invece, che da simpatico e amabile cazzone qual è, Tarantino abbia trovato semplicemente un pretesto per triplicare il numero di “nigger” nei dialoghi rispetto a Jackie Brown. E, così, mandare un saluto affettuoso a Spike Lee. Il cinema di Tarantino, dunque, rimane un cinema ludico e senza pensieri, un giocattolo che passa continuamente dalle mani dell’ex commesso di un videonoleggio a quelle del pubblico estasiato e complice, come il decalogo dello spettatore postmoderno impone. E Django Unchained, in particolare rappresenta lo sfizio di girare finalmente un western e infilarci tanti begli omaggi alle colonne sonore dei vecchi film di genere italiani, film-opera, come ha intuito perfettamente Emiliano Morreale. Django Unchained è un film-compilation [*], soprattutto nella parte finale: come un dj, Tarantino passa da una canzone all’altra, attraversando i generi musical più disparati, compreso l’hip hop di 2Pac. E costruendo sul ritmo della musica sequenze che sembrano videoclip autosufficienti, segmenti estetizzanti e manieristici di grande bellezza formale e consapevolmente privi di contenuto. Momenti che si intervallano con sapienza alle scene dialogate e logorroiche, dagli esiti di esilarante naturalezza, marchio di fabbrica del Tarantino eccellente sceneggiatore. Django Unchained, quindi, non risulta affatto frammentario o dispersivo: tutto si tiene e la durata monstre non si fa sentire. Diffidate da chi, ingannato dalla visione di cappelli e cavalli, nomina a sproposito Peckinpah. Qui lo slow motion sanguinario non ha nulla di sovversivo o elegiaco ed è accostabile, piuttosto, all’impressionante spettacolarizzazione del John Woo dei bei tempi. Infine, non è importante chiedersi quanto sadismo e compiacimento ci siano nello sguardo di Tarantino. Sappiamo che non è mai stato Bresson. La presenza di Tom Savini nei titoli di coda sta a dimostrarlo.
Nota: per la definizione di “film-compilation” [*] Cfr. V. Buccheri, Sguardi sul postmoderno, p.39, Milano, ISU Università Cattolica, 2000.
Django Unchained [id., USA 2012] REGIA Quentin Tarantino.
CAST Christoph Waltz, Jamie Foxx, Leonardo DiCaprio, Samuel L. Jackson, Kerry Washington.
SCENEGGIATURA Quentin Tarantino. FOTOGRAFIA Robert Richardson. MUSICHE Autori Vari.
Western, durata 165 minuti.