Infinitamente riproducibili
Due sono le linee guida e le anime che s’intrecciano ne Il seme della follia e che ne fanno uno dei capisaldi della filmografia e del pensiero di Carpenter, un autore che ha sempre legato il genere ad una visione politica-sociale diretta.
È l’idea d’industria culturale ad esser centrale, in cui lo scrittore scomparso, autore di una serie di libri horror d’incredibile successo, diviene perfetto simbolo di un prodotto commerciale, esemplificazione della creazione di un sistema creativo basato sulla catena di montaggio: una struttura narrativa di base ripetuta continuamente, in cui a vigere è la norma della variazione. Ed è proprio nel segno della ripetizione che l’avventura del protagonista (il detective Trent) vive: è costretto a rivedere situazioni già vissute, sempre in bilico tra realtà e allucinazione, che assumono una sostanza ogni volta leggermente diversa ma progressivamente più inquietante. A venir sottratti però sono l’orrore e la violenza, nelle quali la pellicola lascia semplicemente intuire gli avvenimenti e dando solo una vaga figurazione alle “cose” che popolano il paesino di Hobb’s End. Una struttura industrial-culturale quella mostrata, che non condiziona solo la narrazione dell’opera ma che diviene percorso tracciato di una precisa strategia intensiva per sfruttare al meglio il prodotto (dal libro all’oggettistica per giungere, infine, al film). Non pare oscura quindi la scelta di Carpenter di abbandonare una struttura della tensione canonica a favore di una serie di strade perdute, che seppur non sempre efficaci (il senso di pericolo nei confronti del protagonista non è mai suscitato non solo per la continua razionalizzazione che questo fa degli eventi, rendendolo in un certo senso immune all’orrore circostante, ma anche per l’assenza di un vero intervallare tra i momenti di sicurezza e quelli di pericolo) rendono lo stesso la pellicola più imprevedibile nonché libera da una logica del prodotto facile. La seconda linea guida invece è quella di un relativismo prospettico: la messa in crisi d’identità nei personaggi non ha l’intenzione di creare una metanarrazione, ma li porta a riflettere, come avveniva anche ne La Cosa (seppur con premesse diverse), sulla loro essenza non di personaggi ma bensì di esseri viventi. Ciò che coglie l’essere è una lucida e disperata euforia, consapevole della propria natura fittizia e di aver perso la propria normalità, perché quest’ultima si è rivelata relativa; egli si rende conto di essere solamente una funzione all’interno del meccanismo industriale che lo rende semplice prodotto infinitamente duplicabile.
Il seme della follia [In the Mouth of Madness, USA 1994] REGIA John Carpenter.
CAST Sam Neill, Charlton Heston, Julie Carmen, John Glover.
SCENEGGIATURA Michael De Luca. FOTOGRAFIA Gary B. Kibbe. MUSICHE John Carpenter, Jim Lang.
Horror, durata 95 minuti.