E’ evidente: se esiste un film che ha smosso gli animi della cinefilia e della critica nelle ultime due settimane, questo è The Master.
Sui blog, le testate e (soprattutto) i social network, le diatribe sui giudizi di gusto imperversano fra addetti ai lavori e semplici appassionati. Il problema è sempre lo stesso: The Master sì vs. The Master no.
Nulla di nuovo sul fronte, dunque, soprattutto quando ci si riferisce all’opera di un Autore come Paul Thomas Anderson. Tra letture più o meno lucide e considerazioni più o meno interessanti, l’autorialismo (in barba a posizioni polemiche di stampo modernista) risulta tuttora una prospettiva che, se non altro, incoraggia fremiti, stimola dibattiti, istiga prese di posizione. Eppure, in mezzo a chi considera il film quel capolavoro di arte drammatica e chi invece lo ritiene una furba operazione di maniera e povera di contenuti, esiste un grande pubblico che a vedere The Master non c’è andato.
I dati sono chiari: alla fine dell’ultimo week-end (13 gennaio 2013), in Italia The Master chiude all’ottava posizione con un incasso di poco inferiore ai 370.000 euro. In USA non è andata meglio: 15 milioni di dollari di incasso quando il film ne è costato 32. E’ chiaro: l’ultimo lavoro di Paul Thomas Anderson rappresenta il prototipo dell’oggetto culturale estremamente caro ad una nicchia di mercato. Una nicchia troppo piccola per poter avere una qualsivoglia presa sulla società.
A questo punto ci domandiamo: a cosa serve realmente la critica? Con quale faccia noi, aspiranti critici, possiamo presentarci quali orientatori del gusto (o, meglio, del consumo) quando l’unica categoria a cui ci rivolgiamo è, per una buona parte, composta dai medesimi addetti ai lavori? Che le industrie culturali, da almeno trent’anni, si alimentino da sé, senza il bisogno di alcuna mediazione è cosa più che nota. Ancor più noto, è che l’unica forma di critica con un reale peso sui consumi è quella eno-gastronomica. Detto ciò, non è forse il caso di cambiare prospettiva? Non sarebbe, magari, non solo più onesto, ma anche più fruttuoso, vedere il lavoro del critico come tassello di un puzzle ben più variegato, che comprende la promozione culturale in ogni suo aspetto? Pensiamo, ad esempio, alla critica teatrale (tanto per citare una “sorella” messa peggio): non sono un esperto in materia, però ho come l’impressione che, nella sua dimensione meramente giornalistica, fuori da percorsi di studi più seri, sia morta e sepolta.
Tutto questo per dire che, se il cinema sta affermandosi in una dimensione, a poco a poco, sempre più museale, tanto vale gettarci a capofitto.
ERRATA CORRIGE: I dati relativi al Box Office riportati nell’articolo sono relativi, unicamente, al weekend che va dal 10 al 13 gennaio. L’incasso totale è di 1.044.471 euro. Ci scusiamo per l’errore.