A PROPOSITO DI PAUL THOMAS ANDERSON…
Apocalisse postmoderna
In una Los Angeles rorida e umorale si intrecciano le vite diversamente affrante dei protagonisti. Due patriarchi della tv ormai a un passo dalla morte, due figli decisi a non perdonarli, due mogli prossime a decisioni opposte. E, ancora, due anime compassionevoli, un poliziotto e un infermiere, e due “bambini” prodigio alle prese con la crudele mediocrità del mondo e degli eventi.
Con Magnolia Paul Thomas Anderson mette in scena un film fluviale, che trascina storie e destini in una corsa ineluttabile verso la resa dei conti. Una giostra di tranches de vie madidi di rimorsi e colpe inespiate, ma travolti in una girandola stilisticamente eclettica e attraversata di fatale ironia. La tragedia sottile di esistenze sbagliate si insinua tra le pieghe del quotidiano fino a marcirne il tessuto e a sfaldarne la sostanza. Un malessere palpabile che impregna l’universo asfittico di ciascun personaggio fino al suo umido disfacimento. Ma nel cinismo della casualità e nell’incombere della catastrofe non c’è condanna né approvazione. Piuttosto un umanesimo desolato che da ironico si fa partecipe, per acquisire inaspettata profondità.
Nel ritmo incalzante del tracollo, con l’imminenza dello schianto finale, c’è la netta sensazione di una sanzione sproporzionata alla colpa. L’affrancamento dalle radici, la rottura generazionale, le colpe dei padri sulle nevrosi dei figli sono le facce di un’umanità che ha raggiunto il capolinea e tuttavia non ha capito come. Anderson ne riflette la dissonanza nell’alternanza ipertorfica dei registri, dalla dilatazione dei piani-sequenza alla simultaneità del montaggio accelerato, costringendoli nelle diverse gabbie di spostamenti e immobilità. Una congerie di cifre stilistiche in un perfetto pastiche postmoderno, costruito sulla poetica dell’indecidibile e di citazioni reiterate. L’Altman di Nashville e America Oggi si sposa al DeLillo di White Noise lasciando emergere le patologie dello sfacelo contemporaneo. Un affresco potente e corale incalzato dalle musiche di Jon Brion e Aimee Mann. Ma anche un crescendo sapientemente innescato, scandito dagli asettici aggiornamenti sul tasso di umidità di Los Angeles. La pioggia di rane, in questo senso, non è che il frutto di un progressivo accumulo, un esprimersi liberatorio che accomuna in fondo tutti i personaggi, dal rancore di Frank alla rabbia di Linda passando per l’incontinenza del piccolo Stan. Attenzione di fine millennio al collasso della corporeità, al decomporsi di un involucro che Matrix renderà immateriale. Ma che qui è ancora fisico, materico, spappolabile come le rane sull’asfalto.
Magnolia [Id., USA 1999], REGIA Paul Thomas Anderson.
CAST Tom Cruise, John C. Reilly, Julianne Moore, Philip Baker Hall, Wiliam H. Macy, Philip Seymour Hoffman.
SCENEGGIATURA Paul Thomas Anderson. FOTOGRAFIA Robert Elswit. MUSICHE Jon Brion Aimee Mann.
Drammatico, durata 160 minuti.